Come in una pessima gag da commedia anni ‘60 britannica, chi rincorre è ora rincorso. La storia di John Wick si era aperta (benissimo) con un uomo disperato che letteralmente reindossa il suo passato per andare a vendicarsi. John Wick insegue le persone che gli hanno ucciso il cane, unico ricordo della moglie morta e ragione per la quale aveva smesso di essere un sicario seppellendo tutta l’attrezzatura sotto il cemento armato di casa sua. Ora, al terzo episodio, niente di quello (se non i cani) è rimasto, e chi inseguiva è adesso inseguito. Dalla fine del secondo film infatti è John Wick ad essere braccato da quella specie sindacato internazionale sicari/albergatori in cui lavorano come centraliniste e segretarie solo suicide girls.
La saga che riunisce Laurence Fishburne e Keanu Reeves di nuovo in un mondo di arti marziali e abiti alla moda è sempre più involuta e contraddittoria. Non racconta qualcosa di chiaro e lineare, con dei crescendo o anche solo degli obiettivi fissi e granitici, ma racconta quel che di volta in volta gli è più comodo per imbastire delle gran scene di arti marziali. Solo in questo terzo film ci sarà un cambio di opinione e di piani assolutamente inspiegabile (tanto più che qualcuno ci ha anche perso un dito anulare per quel piano).
La trama sostanzialmente non ha la medesima decisione che il film mostra di avere nei movimenti dei suoi personaggi. A vederla lungo i tre film quella di John Wick è infatti la storia di un disertore che non sa che fare e le prova tutte. Che non è il massimo.
Ed è un peccato perchè le scene di arti marziali sono sempre più audaci e tecniche. Da quando Chad Stahelski (ex controfigura di Keanu Reeves) si è liberato del co-regista del primo film (David Leitch, andato a fare Atomica Bionda) ha sciolto le briglie dell’azione.
Come capita alle volte nei terzi film di una saga che non nasce come tale (si vedano altri esempi come High School Musical, Madagascar o la serie di Bourne), esaurita completamente ogni possibile voglia di raccontare una trama sensata rimane la tecnica.
In questo terzo film di John Wick la tecnica marziale degli attori e l’inventiva delle scene che le riguardano tocca finalmente apici asiatici. In particolare all’inizio una che coinvolge dei coltelli e un’altra con dei cavalli hanno il genere di design, coreografie e rapidità che in Occidente sono sconosciute e invece in Asia sono la soglia minima perché un film possa dirsi tale. Anche Keanu Reeves è molto migliorato e non sfigura come prima (solo poco) rispetto ai molti stuntmen che lavorano con lui.
Il modello delle scene d’azione di questi film è sempre stato The Raid 2, e ora (per quelle scene e trascurando che gli attori non sono tutti atleti come in quel caso) l’ha raggiunto. Può bastare? No, John Wick 3: Parabellum è un film denso e sconsiderato, che impressiona con la sua tecnica e deprime con la sua pochezza. Se non altro però è un buono spettacolo e non l’imitazione di un altro spettacolo.
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