Più letterale di così davvero non si poteva. La sindrome di Stoccolma raccontata in un film che si chiama Rapina a Stoccolma (l’originale è ancora più essenziale: Stockholm) che romanza gli eventi della vera rapina con sequestro che ha generato il termine “sindrome di Stoccolma”. Romanza quegli eventi perché cambia nomi e introduce degli stranieri (Ethan Hawke e Mark Strong) nei panni dei criminali, così per avere un po’ di allure internazionale in più della sola Noomi Rapace con degli occhialoni da segretaria che non sa in realtà di essere bella.
Tutti parlano inglese con accento svedese (tranne Strong e Hawke ovviamente) in un film che fa della semplicità d’animo la sua cifra. La questione della sindrome di Stoccolma qui è un affare molto elementare: erano tutte delle brave persone in un mondo di bastardi, dunque si sono voluti bene. Un bravo rapinatore dal cuore d’oro e dall’animo sensibile (cosa per la quale viene deriso dai poliziotti che stanno trattando con lui per il rilascio degli ostaggi e che lo fa infuriare come solo un bambino si può arrabbiare quando lo chiamano “femminuccia”), che ascolta Bob Dylan ed è pieno di dolcezze, rinchiude in un caveau due impiegate e un impiegato della banca che stanno rapinando, con loro e con il compare che ha chiesto di scarcerare cercano di fregare la polizia, brutale e spietata, che li assedia. Chiamano i cari a casa che tanto cari non sembrano, ridono, scherzano e dividono il mangiare. Praticamente vivono come ad un campo estivo e quando tutto finisce ci scappa la lacrimuccia.
Robert Budreau scrive e dirige un film così elementare e dai rapporti di forza così schematici da riuscire nell’impresa di essere al tempo stesso l’unica vera storia della sindrome di Stoccolma e la peggior storia sulla sindrome di Stoccolma. Impossibile citare gli altri precedenti cinematografici in fatto di rapine e rapinatori perché di quelli, questo film non vuole avere nulla. Questo è un film adolescenziale per come estremizza i conflitti così che siano facili da leggere per lo spettatore e così che nessuno possa nutrire dei dubbi su quali siano i personaggi per i quali parteggiare.
Rapinatori e sequestrati sono della stessa pasta, uomini e donne sole in un mondo che non li capisce. Normale che sviluppino un rapporto. La tesi di Rapina a Stoccolma è che la sindrome di Stoccolma nasce quando i rapinatori sono delle brave persone e aiutano i sequestrati a ricevere un po’ di comprensione.
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