CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2012
Sta in questo film diretto da un americano dai genitori iraniani la miglior scena con inno nazionale statunitense che abbia mai visto. Ambigua, potente e commovente, sia per quel che significa l'inno sia per quel che dice delle persone che lo cantano, una perla.
Forse è vero quel che disse Gabriele Muccino all'epoca di La ricerca della felicità, ovvero che il sogno americano può essere raccontato meglio da chi non è americano o, in questo caso, da qualcuno la cui cultura non è interamente statunitense.
E da quell'inno, che arriva a metà film, si ricostruisce concentricamente una storia che tratta di una famiglia di contadini moderni, proprietari terrieri di media grandezza, gestori di campi altrui in appalto, insomma alto borghesi profondamente americani, tutto culto del lavoro e del successo.
At any price è la cronaca del disfarsi di questa famiglia in un momento preciso, quando il padre instancabile lottatore si rende conto che un figlio l'ha abbandonato per non tornare più e l'altro farebbe qualsiasi cosa pur di non seguire le sue orme e non essere come lui.
Non solo, lentamente anche l'ombra delle conquiste di inizio film si rivolgono contro la stabilità del nucleo familiare fino al più classico dei finali in tragedia, in cui prende forma quell'alone di morte ineluttabile che prima era solo nell'aria.
Senza esagerare in originalità ma con una profonda consapevolezza di come mettere in scena gli ampi spazi statunitensi e del rapporto culturale che esiste tra lavoro della terra e mentalità americocentrica, Bahrani prova a mettere in questione tutto senza attaccarlo, riflette sui limiti, i confini e le contraddizioni di uno stile di vita senza proporre alternative o prenderlo di mira esplicitamente ma solo lasciando che le immagini suggeriscano il classico hollywoodiano e la storia mostri il marcio contemporaneo.
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