CONCORSO
MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2012
Ci sono di film che hanno la proprietà di scomparire dai tuoi ricordi il secondo dopo che esci dalla sala. Anche se ti hanno intrattenuto, anche se erano scorrevoli, anche se avevano una trama sensata e non noiosa. The iceman è uno di questi. E se te li dimentichi e non ti va di ripensarci figuriamoci quanto ti va di scriverne. Non vorresti mai doverci ritornare sopra e tirarne fuori qualcosa di sensato (positivo o negativo che sia) e questa tensione arriva a metterti di fronte a questioni di principio sulle decisioni prese prima del festival.
La storia (tratta da un fatto vero) di un killer della mala finito male perchè troppo attaccato alla famiglia è narrata con il piglio da poliziesco straniato che già si era visto in Killing them softly, anche se l'autore stavolta è Ariel Vromen. E quindi con Killing them softly poco centra. E anche questo riferimento è inutile.
Del film rimangono impresse le rughe degli attori, illuminate in modo da metterne in evidenza i solchi e i chiariscuri che disegnano sui volti di Michael Shannon, Ray Liotta e Robert Davi. Un film pieno di rughe.
Rimangono impressi i camuffamenti che non sono tali, cioè il trucco di personaggi come quello di David Schwimmer, che sembra stia per entrare in uno sketch anni '70 del Saturday Night Live, e poi il modo in cui le ellissi di anno in anno e il mutare della moda per suggerire il passare del tempo ricordino Quei bravi ragazzi.
Ecco molto altro non c'è e se uno dovesse scrivere una recensione di The iceman, uno che ne avesse la voglia, si troverebbe a dover girare intorno a questi elementi, al chiudersi di Michael Shannon nel personaggio dello psicopatico e magari anche un vago ragionamento sul poliziesco americano che cambia forma. Forse.
Se va a premi mi dimetto.
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