Fin da La peggior settimana della mia vita era evidente che Alessandro Genovesi non fosse il solito regista di commedie. Non sposa il dettame per il quale i film in cui si ride devono mortificare la loro componente visiva per esaltare il comico, non cerca di ripetere pedissequamente i medesimi schemi di comprovato successo ma ci gira intorno quanto più possibile se costretto, altrimenti ne inventa di propri, e infine (come Luca Lucini, un'altra mosca bianca) mira più a raggiungere un mood, una sensazione sospesa tra il favolismo, l'irreale e il teneramente romantico che a portare le singole gag in maniera efficace. Tutti i registi di commedie d'incasso vorrebbero quest'incrocio di caratteristiche ma Genovesi sembra l'unico a volerlo raggiungere sul serio o forse soltanto l'unico dotato delle capacità e della visione giuste per riuscirci.
Ma che bella sorpresa è, fino ad ora, il suo film più audace, quello in cui rompe di più con le solite usanze ma purtroppo anche uno tra i meno riusciti.
Claudio Bisio viene mollato da una compagna di cui è follemente innamorato, distrutto dall'evento gli casca dal cielo un'altra donna, bellissima e ideale, che lentamente si capisce essere un parto della sua mente. La sorpresa è che quando il film dovrebbe finire, cioè alla fine del terzo atto (scatenata la situazione, illustrata e combattuta la psicosi e infine risolto il problema mentale), un quarto ne inizia come fossimo in un film asiatico. Entra in scena il personaggio di Valentina Lodovini, che aveva orbitato intorno alla storia principale senza mai entrarci davvero per tutto il film (divertente che il personaggio effettivamente orbiti intorno a Bisio, origliando e spiando), era stata in agguato attendendo che finisse la trama principale per saltare sul protagonista e dar vita alla propria.
Si crea così un film che ci appare disequilibrato (ma il problema è solo nostro e delle nostre abitudini) ma in questa maniera mira a non essere troppo conciliante con lo spettatore, a non dargli a tutti i costi quel che desidera o si aspetta, e magari (magari!!) dire qualcosa di più serio della media.
È un peccato allora che a fronte di un'impostazione così audace Ma che bella sorpresa non abbia la forza giusta, i dialoghi giusti, le interazioni più giuste per elevare una materia abbastanza scontata e banale (la donna ideale è sempre lì lì per andare a toccare nervi scoperti, dire o suscitare qualcosa di profondo e disturbante ma non lo fa mai). È un peccato perchè come al solito il film è davvero "un film", non una serie di dialoghi filmati e poi montati tra loro, ma un'opera con un'idea visiva forte e coerente, che sa gestire gli spazi e vuole utilizzare il suo sfondo (Napoli) in tante maniere diverse, non solo i consueti totali o le ampie panoramiche.
Infine, pregio tra i pregi di questo film coraggiosamente non riuscito, c'è quanto Genovesi sembri nutrire una sana passione per Wes Anderson e come possieda la maestria necessaria a contaminare quanto basta le sue idee con quello stile. Succede così che Ma che bella sorpresa riesca a sfruttare come nessuno era riuscito a fare in precedenza Frank Matano, liberando la sua comicità surreale tramite piccoli e misurati innesti che gli calzano a pennello, incursioni fugaci durante le quali è sempre incastrato in un repertorio di tute da Tenebaum che sembrano divise.
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