C'è un fantastico paradosso cinematografico alla base di The french connection, ovvero il fatto che il film sia il controcampo logico di Il braccio violento della legge. La storia (vera) raccontata è la medesima, quella dell'invasione americana della mafia marsigliese e della sua cocaina ma il punto di vista è un altro, non quello statunitense (la destinazione) ma quello francese (l'origine).
Friedkin aveva usato quella storia per un film durissimo di frustrazione e disperazione, tenacia e paura d'impotenza, Jimenez invece ne fa un poliziesco storico tipico di questi anni, una ricostruzione molto in linea con quelle delle altre mafie o figure criminali europee viste in Nemico Pubblico n.1, Carlos, La banda Baader Meinhof, Romanzo criminale e via dicendo, in cui la coppia Dujardin-Lellouche dovrebbe essere il vero elemento di originalità.
Per raccontare la storia infatti Jimenez sceglie di partire dalle grandi individualità che si confrontano su lati opposti della barricata. Il commissario integerrimo e volitivo contro il boss mafioso, entrambi deboli a modo loro, entrambi determinati a diventare più di quello che sono. Neanche a dirlo quindi il mondo di The french connection è uno in cui la morale delle persone non è data dal distintivo o dall'appartenenza alla mala ma dalle scelte che ognuno compie ogni giorno. Forse anche per questo nel film esiste un potente senso del passare del tempo, molto più attraente dell'intreccio in sè, cioè dell'effettivo susseguirsi di eventi, indagini, svolte o tradimenti. Il tempo che passa insomma misura il film più dei suoi eventi, l'ineluttabile trascorrere degli anni non solo fa invecchiare i protagonisti e cambiare i tempi ma muta anche i punti di vista e le convinzioni. Tuttavia quest'elemento, specie nella seconda parte, contribuisce ad una certa stanchezza in un'opera eccessivamente lunga (poco più di due ore) che ama rigirarsi nelle coperte del suo stesso dramma, illudendosi di poter giungere a conclusioni che non siano quelle della vera cronaca.
Forse Jimenez ha puntato troppo sulla forza dei due attori protagonisti, i cui incontri/scontri lungo tutto il film vengono centellinati e quando arrivano non sono così soddisfacenti. Lellouche e Dujardin sono infatti chiamati a portarsi sulle spalle una grandissima parte del film, solo che mentre il secondo riesce ampiamente a riempire lo schermo d'inquietudine frenetica, saziando la sete dello spettatore di dettagli sulla storia anche solo con l'interpretazione, il primo pur avendo quello che sulla carta è il personaggio più interessante (il villain con famiglia) annaspa nel consueto universo di "regole morali" da gangster senza trovare un senso per sè.
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