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19.2.14

Lone survivor (id., 2013)
di Peter Berg

Tratto da una storia vera.
Peter Berg era da The Kingdom che non tornava a quello che evidentemente è il suo amore cinematografico maggiore: il cinema di guerra (Battleship era stato davvero un palliativo insoddisfacente, lo capivano anche gli spettatori). Fieramente destrorso e tecnicamente ineccepibile il regista stavolta si muove dalla guerriglia urbana allo scontro sulle montagne rocciose, da un terreno problematico (la presenza americana nelle città contro il volere dei locali) ad uno spazio aperto, sgombro da problemi, ma sempre di orbita medio-orientale. E rimane anche l'atteggiamento del regista, intenzionato a salvare gli uomini e le donne (dello schieramento avversario) per condannare i soldati (dello schieramento avversario) mentre in primo piano sventola la bandiera americana.

C'è poco da infastidirsi per la retorica patriota, il cinema di Peter Berg è così. All'interno di questa dimensione virile affrontata unicamente dal punto di vista maschile (l'uomo è il centro di tutte le cose, tutti gli affetti, tutte le dinamiche anche quando deve comprare il regalo alla moglie) quel che conta non è vincere, come era per John Wayne, ma essere soldati tutti insieme, lo spirito di corpo, il legame con il commilitone, quindi condividere tutti una medesima visione della vita, umana e compassionevole, come era per John Ford.
Evitando di sporcarsi le mani con discorsi di grado (chi sta in basso fa il lavoro sporco, chi sta in alto comanda) Peter Berg si immerge senza turarsi il naso nella guerra di posizione, scaramucce e azioni di salvataggio, uomini incastrati in una missione fallimentare che cercano di rimanere in vita mentre cercano di salvarsi a vicenda.

Lo spunto della storia vera è però la pietra angolare del film, il dettaglio che cambia la lettura e rende il film d'azione un'ode ai piccoli sacrifici in una grande guerra, attutisce la violenza e scolorisce la complessità. Senza condannare il conflitto ma anzi affermandone la necessaria impellenza (attraverso la figura ben poco delineata dei cattivi) Berg si inserisce nel flusso della propaganda per rendere onore ai defunti per la patria.
E' semmai la maniera in cui lo fa, così smaccata, diretta e semplicistica a lasciare delusi e, forse, a svelare eccessivamente la finalità reclutativa dietro l'operazione. Perchè raccontare di uomini che non si differenziano per nazionalità, religione o schieramento, semmai divisi dall'avere un'etica o un senso dell'onore e non averlo, poteva dar vita ad un film molto migliore di uno in cui la morte in guerra rende comunque eroi a senso unico. 
Alla fine le indiscutibili sequenze di guerra forse parlano di più e meglio di cinema, dell'idea generale di un film che sembra avere in mente uno spettatore di minimo livello intellettuale al quale parlare per concetti semplici, uno alla volta.

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