Sgomberiamo subito il campo, Belluscone per fortuna non è un (ennesimo) film su Berlsuconi, ma uno che raccontando un'umanità paradossale e grottesca gira intorno alla percezione e alla maniera in cui la mafia sicula è vissuta ai livelli più piccoli e bassi, mirando a mettere in scena (come sempre per Maresco) un universo di minuscola umanità vitale e assurda, per questo affascinante più degli individui noti e prestigiosi di cui si parla. E la cosa più liberatoria è proprio la maniera in cui Maresco si diverte (grazie a Dio) a giocare con vero e fasullo, reale e inventato, a partire dallo spunto, facendosi gioco di ogni etichetta d'inchiesta. In teoria infatti Belluscone è un film in cui Tatti Sanguineti (critico e storico del cinema) si mette sulle orme di Maresco, scomparso misteriosamente mentre lavorava ad un film sui legami tra Berlusconi e la mafia siciliana. Sanguineti cerca di capire cosa sia successo, studiando e guardando il footage di Maresco, tra neomelodici napoletani e interviste improbabili.
Dunque da una parte c'è un finto noir con voce fuori campo in cui Sanguineti si improvvisa investigatore e racconta di Maresco (presentandolo come regista distrutto dai disastri di Totò che visse due volte, talebano duro e puro e per questo fuori da tutto), dall'altra il campionario da cinicotv nel quale emerge Ciccio Mira, impresario di cantanti neomelodici che fanno furore nelle piazzette rionali siciliane, specie in una certa zona di Palermo, che è anche quella che più di tutte sostiene Berlusconi e Forza Italia. Si tratta di un mondo suddito di ogni fascino del potere, berlusconiano con serena spensieratezza e fiero oppositore dello stato a favore della mafia. Al centro di scandali giudiziari (con i loro ringraziamenti dal palco e i saluti ai carcerati si è scoperto che lanciavano messaggi in codice alla mafia) Mira si rivela la tipica vittima da Maresco, inchiodato dalle sue domande, svelato nelle sue umane codardie (inutile dire come reagisca alle domande sulla mafia) ma amato alla follia.
Il fortissimo ed esilarante senso del grottesco che le immagini rivelano da sè e che Maresco è bravissimo a mettere ancor più in evidenza, lavorando di cesello maieuticamente per tirare fuori ai protagonisti stessi quell'umanità che affascina il regista, sembra essere sempre l'unica cosa che conti. Inventando qualcosa, usando vere sentenze, spiegando ed esagerando in alcune conclusioni (che dà per assodate ma non sono state mai confermate da indagini della magistratura) la finta indagine di Maresco, che prevede anche un'assurda intervista a Dell'utri, vive per riverberare luce su Ciccio Mari, il reale protagonista, un Danny Rose di provincia dalla vita e storia parallele a quella di Silvio, vessato da più parti ma comunque grande survivor.
Che sia un film sui nostri tempi è audace da affermare, che sia un film sulla politica e lo stato del paese anche. La parte realmente potente di Belluscone è invece come riesca a ribaltare ogni prospettiva a partire dal grande (Berlusconi) per mettere in evidenza solo il piccolo (Mari e l'universo in cui vive), lo spirito, il piglio e taglio con cui dà un calcio ai temi più grandi e aderisce al più squallido, vigliacco e fastidioso dei sottoboschi, quello in cui si rintana Maresco (realmente lontano da tutto e tutti) perchè in fondo è comunque meglio quello di tutto il resto dello squallore.
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