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20.10.14

Trash (id., 2014)
di Stephen Daldry

ALICE NELLA CITTA'
FESTIVAL DEL FILM DI ROMA

PUBBLICATO SU 
Sembra ci sia il tocco di Fernando Meirelles in questo nuovo film di Stephen Daldry e infatti c'è. L'autore del seminale City of God ha lavorato come produttore esecutivo ma l'idea è che sia stato più uno show runner per quello che è il primo film d'azione di Daldry (e anche dello straordinario sceneggiatore d'eccezione che si è potuto permettere: Richard Curtis). E' cinema d'azione perchè in Trash c'è un mistero da ricostruire a posteriori, tre ragazzi che vivono in una discarica fuori Rio trovano un portafogli pieno di soldi e indizi di cui capiscono l'importanza solo quando la polizia comincia a pattugliare la loro favela in cerca di quell'oggetto e dai pochi elementi che hanno a disposizione provano ricostruire come mai tutti vogliano quel portafogli. Ma è anche cinema da Curtis & Daldry perchè quel che conta in tutto questo correre, scappare e nascondersi è l'estrema vitalità del trio di ragazzi (non professionisti).

Sono infatti pure comparse Rooney Mara e Martin Sheen, americani in un film tutto portoghese girato in pieno stile Meirelles, cioè con contrasto fortissimo e colori accesi (un espressionismo cromatico ormai diventato sinonimo di Brasile), macchina a mano e un punto di vista per nulla paternalistico. In Trash infatti non è tanto l'intreccio o la parte thriller ad appassionare (si è visto decisamente di meglio, di più coerente e più plausibile) ma la maniera in cui la favela non è il simbolo del disagio. Non si percepisce che a ritrarre quel mondo ci sia uno straniero perchè lo sguardo non è mai dall'alto verso il basso, non è pietistico e nemmeno da una certa distanza. Daldry sembra proprio aver aderito all'estetica di Meirelles perchè si disinteressa della favela in quanto tale, del disagio e delle condizioni dei protagonisti, elementi già sufficientemente evidenti da sè.

Ne giova tutto allora. In primis il ritmo, che non perde tempo appresso a sociologia spicciola, poi la trama che ha la possibilità di concentrarsi sugli eventi e non su ciò che gli sta intorno (che peccato che più ci si avvicina alla fine, più il film insista sul suo favolismo abbandonando sia l'epica che il realismo duro) e infine può lavorare concretamente sul cinema e non sul "messaggio". Infatti in quei piccoli corpi asciutti che sembrano capaci di penetrare qualsiasi aggregato urbano, di passare in qualsiasi pertugio e scavalcare qualsiasi inferriata (addirittura camminano sulle travi che sovrastano una strada a scorrimento veloce) c'è una potenza dinamica e cinematografica che Daldry coglie in pieno, una gioia del movimento che dona anche alle scene più trite una vitalità contagiosa e quasi miracolosa. Se City of God metteva in scena l'epica del Brasile moderno, Trash gode nel ritrarne i movimenti.

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