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24.10.17

Thor: Ragnarok (id., 2017)
di Taika Waititi

Già dal colore dello spazio (non nero ma fucsia e verde) è chiaro che è cambiato qualcosa e siamo dalle parti di I Guardiani Della Galassia. Thor: Ragnarok infatti è il ponte che collega l’universo Marvel terrestre a quello spaziale. Non compare nessuno dei personaggi della serie di James Gunn, ma compare quell’estetica retro anni ‘80, compaiono le musiche disco ed elettroniche e quel rapporto tra ironia e autoparodia fondato da Star-Lord e soci: gli eroi consci del loro essere tali che aspirano ad aderire alla mitologia degli eroi, che capiscono bene di avere il dovere di essere in un certo modo. E proprio Thor, che di tutti gli Avengers era il più serioso, diventa qui il più consapevole e comicamente incapace di incarnare l’eroe classico (proprio lo stesso problema che rende comico Star-Lord), quello a cui non riescono perfettamente le entrate e le uscite in stile.

Certo è un cambiamento radicale e non sempre coerente al resto dell’universo e alle basi impostate, ma se questo testimonia qualcosa è la potenza produttiva dei Marvel Studios, capaci di cambiare squadra, inserire sceneggiatori che hanno lavorato alle serie animate Marvel assieme ad un regista noto per commedie indie, e sbancare di nuovo con un film, meno efficace di altri, meno preciso e perfetto ma indubbiamente godibile nonostante la solita durata esagerata.

Il Ragnarok incombe su Asgard, cioè la fine e la distruzione di tutto, Thor lo scongiura proprio nel combattimento iniziale, in cui l’uso di Immigrant Song e del ralenti disegnano un perfetto video musicale anni ‘90, spiegando bene come il film anche quando sarà serio, in realtà non lo sarà. Eppure il Ragnarok forse non viene da dove si pensava, sarà un problema più grande a minacciare il mondo degli dei nordici: la sorella di Thor e Loki, risvegliata dall’assenza di Odino. Sarà necessario più di quanto siamo abituati per sconfiggerla. Questa è più o meno la trama che il film imbastisce, ma in realtà è un’altra storia il vero obiettivo del film.

Dopo 10 anni di fumetti al cinema la Marvel accorcia sempre di più la distanza tra storie da fumetto e storie da film, le trasforma sempre meno. Qui lo spunto di tutto è la classica entrata in scena di un personaggio che si presenta come invincibile, distruggendo facilmente ciò che pareva impossibile distruggere prima e così minando le certezze dell’eroe.
Ma è solo apparenza. Per quanto importante la trama principale è in realtà una scusa, un contenitore per un’altra storia.

Per fortuna infatti in Thor: Ragnarok c’è una seconda trama, quella che tiene impegnato Thor “altrove”, lontano dai suoi doveri, intrappolato in un altro mondo. Lì il film si separa dai luoghi fisici e dai luoghi comuni della serie, usa tutti altri colori, cambia capelli all’eroe, lo dipinge in faccia, gli cambia abiti (cioè costume), di fatto trasformando quel che sappiamo di lui. Se Asgard e ciò che lì accade sembra fare riferimento esplicito a Il Signore Degli Anelli, specie per il rapporto personaggio/paesaggio (il momento in cui il popolo si sposta sembra davvero ricalcato stacco per stacco dalla compagnia dell’anello sulle Montagne Nebbiose), invece la trama centrale sull’altro pianeta è un pasticcio colorato in cui ogni regola che credevamo ferrea nel mondo di Thor può essere disattesa. È una vacanza, utile a tirare fuori il personaggio da quello che sembra ora evidente era per la Marvel un pantano, e dargli un’altra storia che si chiuderà dopo 1 ora e 40 (a dimostrazione di quanto sia un film a sé).

Di tutto questo ne fa le spese l’uso di Cate Blanchett, che pare rientrare nei doveri del film (il suo personaggio è tanto centrale quanto marginale, potente ma poi effimero). Per quanto porti nel film un’idea di cinemafumetto intrigante, basta vedere come si mette in posa al suo ingresso in scena, subito plastica, intrigante e fumettosa, lo stesso rimane marginale. Perché tutto in Thor: Ragnarok è in realtà un pretesto per la trasformazione del protagonista da eroe onnipotente e distante ad eroe fallato e vicino al pubblico (anche il suo fisico ne uscirà indebolito), da serioso Dio a comico outsider fuori dal mondo.

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