“L’epoca del selvaggio west è finita”. È il mantra del western dal giorno dopo in cui il genere è comparso al cinema, il fatto cioè che il racconto di quell’epoca si accompagni al racconto della sua finitezza, del fatto che è stato un periodo reso possibile dalla vacanza di una civiltà che poi inevitabilmente è arrivata. Il cinema racconta sia la conquista delle terre inesplorate e poi quel che è accaduto quando i simboli del progresso e dell’inquadramento del selvaggio nel civile hanno cominciato ad avanzare. Prima il filo spinato che delimita cosa è mio da cosa è tuo (L’Uomo Senza Paura con Kirk Douglas ne è il perfetto esempio) e poi ovviamente la ferrovia, più città erano conquistate dal treno e dai binari più arrivava la civiltà.
Il cinema western racconta questo, palesemente o implicitamente, da sempre ma Hostiles cerca di raccontare la fine di un altro West, quello nella testa, quello dell’ideologia della supremazia bianca tramite l'evidente avanzare di un'altra mentalità, quella revisionista dalla parte degli indiani.
Come in Soldato Blu c'è anche qui un soldato che odia gli indiani che insieme ad una donna attraversa (con altri uomini) le terre selvagge. Lui è un uomo indurito dalla guerra e dall’aver visto i propri commilitoni massacrati, lei ha visto la sua famiglia distrutta da un attacco indiano e ora è sola. Odiano gli indiani ma devono scortare un grande capo verso la sua terra sacra, dove potrà morire. E devono farlo per ordine del presidente degli Stati Uniti. In Hostiles la civiltà non arriva con il treno (per quanto ci sarà un treno alla fine) ma arriva nelle teste, con le idee. La fine del west in questo film è l’inizio dello spargersi dell’idea che quel che gli americani facevano agli indiani era ingiusto e inumano, il primo seme della convivenza tra razze diverse. Quel rimarrà invece sarà altro, sarà la parte dura e violenta dello spirito americano.
In Hostiles buona parte del mondo intorno ai protagonisti parla di ingiustizia e diseguaglianza, disprezza la cattiveria con cui sono trattati gli indiani e giudica aspramente il capitano per il suo atteggiamento. A sorpresa però Scott Cooper è fermamente dalla parte del capitano. Chi si pronuncia a favore degli indiani è un campionario di colletti bianchi, vigliacchi, mogli che parlano troppo e personaggi antipatici. Il capitano invece odia gli indiani e il film crede nel suo odio, lo avalla e lo giustifica, convince (sentimentalmente) il pubblico che quell’odio è motivato. E lo fa per poterlo poi smontare (sempre sentimentalmente) nel gran finale.
Dall’altra parte quel che non è mai morto è lo stoicismo, la violenza e la durezza dello spirito americano “che non si è mai ammorbidito”. Lo dice un cartello all’inizio del film citando una frase di D. H. Lawrence e lo mostra il film con un campionario di brutalità fatte e subite dai protagonisti, riprese senza enfasi ma in tutta la loro meschina efferatezza.
Non fosse per quest’idea della fine del west come cambio di prospettiva e di modo di guardare gli altri (quante volte nel film ci sono inquadrature in cui bianchi e indiani si guardano da lontano o da vicino, in silenzio? Tantissime), Hostiles sarebbe il più convenzionale dei Western rarefatti, rallentati e dilatati, un polpettone in cui accade quel che in un film classico ambientato nella Monument Valley sarebbe avvenuto in 40 minuti. Una volta tanto il cinema molto di testa, molto presuntuoso e molto vanitoso di Scott Cooper centra proprio l’assunto di partenza, si cala molto bene nei panni del genere scelto e, nonostante non abbia ancora imparato a divertirsi anche in una storia drammatica o davanti alla sofferenza dei personaggi (il cinema è sempre e comunque un piacere), almeno sembra qui finalmente essere riuscito a dare un senso al respiro ampio alla sua storia.
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