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21.11.17

Gli Sdraiati (2017)
di Francesca Archibugi

L’inizio di Gli Sdraiati è una promessa che non sarà mantenuta. Contravvenendo a qualsiasi pratica stabilita del cinema leggero italiano il film spara subito le sue cartucce più interessanti. Parte sottotono, con un ritmo morbido e rallentato, reso interessante da un montaggio inusuale, spezzato, sconnesso e subito avvincente. Il risveglio di un figlio di genitori divorziati a casa del padre, la colazione, andare a scuola con gli amici in bici, tutto è narrato per minuscole ellissi con un accompagnamento musicale che sembra una rielaborazione moderna delle colonne sonore delle commedie italiane anni ‘60. Racconta quel che raccontano sempre le commedie italiane (iniziare con un risveglio) ma in una maniera che annuncia un film completamente diverso dal solito.
Purtroppo, si diceva, è una promessa che non sarà mantenuta.

Adattando il libro di Michele Serra, il film necessariamente abbandona la forma epistolare con cui era scritto e crea una trama attorno a quell’atmosfera, quei personaggi e quel modo di interagire ma soprattutto di vedere e concepire la società. La creano Francesco Piccolo e Francesca Archibugi che, oltre a film della stessa Archibugi come Il Nome Del Figlio, insieme hanno anche contribuito a Ella & John, il film di Virzì visto e Venezia e di prossima uscita. Tuttavia, dopo l’attacco, è subito chiara la piega che prenderà il film. I ragazzi sono mostrati con lo sguardo dei genitori come prevedibile ma anche con un desiderio manicheo incomprensibile. Sono molli, svogliati, cretini, abusano della pazienza e del tempo dei genitori, non hanno nessuna passione particolare se non le consuete cotte, non hanno desideri se non fare poco e nulla, non hanno aspirazioni, niente di niente. Sono personaggi antipatici, mesti, imbronciati e lontanissimi da qualsiasi buonumore. Probabilmente è la visione di Serra che Francesca Archibugi sposa.

Di contro il mondo dei genitori è quello dinamico, vitale, un po’ pavido ma teneramente (almeno lo è il protagonista/Serra interpretato da Bisio), di certo di buon cuore e buoni ideali, savio, intelligente e posato.
A prescindere dall’adesione o no a questa visione di mondo quel che sembra impensabile in Gli Sdraiati, il cui primo difetto non sta nelle parti che prende ma nella noia da cui non si smuove, nella lentezza di un passo che non riesce mai ad essere virtù e sempre peso, è che poi pretenda anche di essere dalla parte dei ragazzi. In un momento tra i meno riusciti infatti il protagonista parla di una storia che vorrebbe realizzare, e che parzialmente vediamo, quella di un mondo futuro distopico ritratto con uno stile Mad Max poverello, in cui i ragazzi sono vessati dalla dittatura degli adulti, una sorta di specchio deforme dell’oggi che condanna la generazione dei padri, e che suona intollerabile in un film che ritrae i figli così male e i genitori così bene.

Accade così che procedendo verso una fine che si ha l’impressione non arrivi mai, Gli Sdraiati perda sempre più spinta e si areni spesso in scene in cui l’incongruenza di fondo (ritrarre malissimo i ragazzi ma pretendere di stare dalla loro parte) mal si sposa alla voglia di dare una spinta drammatica. Avviene ad esempio nel momento in cui il film passa per l’ospedale (tappa fissa nei copioni di Francesca Archibugi). Un’esplosione di rabbia recitata malissimo da Gaddo Bianchini (il figlio di Claudio Bisio), così subitanea e grottesca da avere l’effetto contrario rispetto a quello probabilmente voluto, non mette in scena l’umanità fragile dei ragazzi ma semmai la maniera maldestra con cui questi sono rappresentati in un film ad uso e consumo della consolazione e celebrazione della generazione dei padri.

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