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27.8.18

The End? L'Inferno Fuori (2018)
di Daniele Misischia

In ritardo di anni sui film di zombie (arrivati al picco diversi anni fa e ormai quasi scomparsi dal radar dei progetti in via di sviluppo) ma pienamente in tempo sul cinema delle avventure al telefono rinvigorito da Locke e proseguito da Beast Of Burden con Daniel Radcliffe, The End? L’Inferno Fuori è un film d’assedio microscopico, tutto dentro un ascensore fuori servizio che, come il rifugio antiatomico di Omega Man, intrappola una persona proprio nel momento in cui questo lo salva, cioè quando il suo palazzo è invaso dagli zombie.

L’intrappolato è Alessandro Roja, manager spietato e cinico, bastardo e privo di scrupoli che dentro l’ascensore spera di rimanere vivo, combatte e al telefono cerca come può di salvare il salvabile di chi gli sta intorno. E qui forse sta la vera differenza con i modelli di The End?. Come già detto infatti non viene dal cinema dell’orrore o da quello d’azione con zombie, ma dal film-romanzo in cui la maggior parte delle situazioni e dei personaggi sono evocati tramite conversazioni e devono essere immaginati dallo spettatore invece che messi in scena.

Tuttavia se Locke o Beast Of Burden sono odissee nella responsabilità da parte di personaggi che sacrificano tutto per fare la cosa giusta, qui il protagonista non ha un obiettivo preciso, etico e morale, qualcosa che lo elevi, ma è anzi un deprecabile manager dalla scarsa empatia. Sembrerebbe materia buona per i denti di Alessandro Roja, già Dandy in Romanzo Criminale, batterista in I Più Grandi di Tutti (la sua interpretazione migliore) e poliziotto-pianista in Song’e Napule dei Manetti (che qui producono). Purtroppo però Roja non è sempre a fuoco e dopo un grande inizio, in cui con pochi tratti spiega bene chi sta interpretando, centra i gesti e le espressioni, non rimesta nei luoghi comuni e dà forma al testo con personalità, nei momenti più dinamici (e francamente più noiosi) non riesce a reggere il film come richiesto dall’essere (quasi) l’unico interprete. Lì Roja crolla assieme ad una parte del film nella palude della ripetitività di gesti, espressioni e convenzioni, in uno spazio così stretto che è difficile vedere altro.

Con un po’ di anticapitalismo facile e accennato, alcuni ravvedimenti e una voglia anche esagerata di indugiare sulla disperazione dell’uomo intrappolato (che alla lunga stanca) The End? non fa insomma il miglior uso del suo minutaggio e specie da tre quarti in poi comincia ad arrancare, proprio nel punto in cui invece dovrebbe lanciare una volata finale di cui non c’è traccia.

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