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1.3.19

Dragon Ball Super: Broly (Doragon Bōru Sūpā: Burorī, 2018)
di Tatsuya Nagamine

Ventisette anni dopo i primi lungometraggi su Broly (Il Super Saiyan Della Leggenda, Sfida alla Leggenda, L’irriducibile Bio-combattente, visti in Italia per la prima volta poco più di dieci anni fa) un nuovo film rivede la saga del Saiyan leggendario per inserirlo nella continuity della nuova serie Dragon Ball: Super. In questo senso gli eventi si svolgono dopo il Torneo del potere, a cui viene anche fatto brevemente riferimento. Oltre a questo, come si conviene a questo genere di film, ci sono anche accenni storici alle saghe del canone di Dragon Ball, non dei riassunti per fan smemorati o pubblico digiuno ma più delle carrellate per titillare il ricordo dei fan con buona memoria.

Dragon Ball Super: Broly è però inizialmente molto migliore sia delle serie regolari (perché ovviamente più sintetico e meno dilatato) sia dei soliti film spin-off o in continuity. Sembra non avere la sudditanza verso la storia principale che di solito rende i film così innocui da annoiare e soprattutto il fatto di poter raccontare una origin story che ha anche vedere sia con Broly che con l’origine di Freezer (e quindi ovviamente di Vegeta e Goku) lo rende appassionante. Lavorando sulle componenti classiche di Dragon Ball, ovvero la misurazione del potere, l’attesa per la sua deflagrazione e l’uso delle sfere come MacGuffin comico (è Freezer a radunarle per diventare più alto di 5cm e non essere preso in giro dopo che Bulma aveva iniziato a farlo per ringiovanire di 5 anni), questo film riesce un po’ a retrodatare la storia riportandola alle dinamiche della saga di Namecc.

Tutto però solamente nella prima parte. Quando al minuto 50 inizia il grande combattimento che occuperà i successivi 40 minuti del film spuntano tutti i difetti di Dragon Ball enfatizzati dalla situazione. Non solo c’è una rincorsa alla potenza sempre maggiore che supera subito i confini della logica, ma soprattutto il continuo rilanciare in potere, attraversando inspiegabilmente per gradi tutte le mutazioni di un Saiyan, è noiosissimo. Quasi non ci sono dialoghi nel grande confronto tra i ghiacci, solo urla, e manca totalmente tensione. Non c’è niente che avvenga se non la scazzottata, nulla in palio né alcuna trama che si svolga parallelamente o in mezzo alla rissa. Ovviamente la scazzottata ha un fine ma è chiaro dall’inizio che le due parti sono entrambe buone e non c’è quindi neanche una vera intenzione letale.

Asciugato del rischio di morte, della vera supremazia sull’altro data agli effetti della violenza (inesistenti) e dalla fatica, questi 40 minuti di urla e distruzione animata sono quasi un supplizio. Ovviamente il confronto fisico è l’anima di Dragon Ball, ma c’è sempre il fascino di una causa, una strategia, una difficoltà o un obiettivo a creare il ritmo e dare senso alle svolte. E se questi non ci sono allora è il rischio di morte, concreto e tangibile, a dare il fascino dell’ineluttabilità apocalittica allo scontro. È stato così in ogni snodo chiave della serie (a fumetti e poi animata) e non è così quasi mai nei film, perché non possono intaccare davvero il canone. Così anche uno che era partito molto bene si spegne malissimo.

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