C’è quanto di più cinematografico possibile alla base di L’Angelo Del Crimine, un contrasto interno ad un personaggio che ce lo rende un po’ sghembo, fuori dai canoni ed interessante, che ci fa aggrottare le ciglia per capirlo meglio. È la storia di Carlos, vero rapinatore ragazzino, spietato killer con efebica faccia d’angelo. Un minorenne con il fare da gangster e il grilletto facile ma anche molto casual, rilassato e cinico. Un criminale edonista, bisessuale che il film di Luis Ortega a tratti rappresenta con la classica sigaretta in punta di bocca, ad altri invece inquadra impietosamente in mutande mostrando il suo fisico acerbo e non attraente.
Il problema è che Carlos, il protagonista, è anche molto difficile da conoscere. È difficile capire come ragioni, che obiettivi abbia e cosa gli passi per la testa. Questo fa sì che ogni sua decisione sia davvero imprevedibile e crei una certa tensione. Di conseguenza anche l’arco narrativo e la parte sentimentale non possono somigliare a quello che già conosciamo. L’altro lato della medaglia è che facciamo anche un’indubbia difficoltà a stare dalla sua parte. Non è quindi difficile odiare Carlos per quanto sia epidermicamente fastidioso con il suo atteggiamento strafottente e al di sopra di tutto. Invece di provare pena per la sua sensibilità soffocata sì finisce ad odiare la sua idiozia. È chiaro che abbia un mondo interiore strano e particolare ma è troppo fiducioso in se stesso e ha troppa sufficienza senza alcuna qualità per essere davvero un protagonista cui teniamo.
Ad animarlo invece è il fatto che compia rapine per sentirsi vivo, che non le faccia per esigenze economiche o per voglia di scalata ma per provare un brivido, per godersela, per vivere con leggerezza e un po’ di cattiveria, per sublimare una desiderio sessuale incerto. Di conseguenza sarà insoddisfatto quando non riuscirà a farlo, quando la sua banda non se la godrà come lui. È un dettaglio che lo separa da tutti gli altri rapinatori cui siamo abituati, gli dà un’amarezza e al tempo stesso un’insoddisfazione uniche, come fosse un malinconico cui non resta che il crimine per sperare di provare qualcosa.
La sensazione è aiutata dall’ottimo comparto musiche come spesso avviene nei film argentini d’epoca, in cui le consuete straordinarie canzoni d’epoca (quasi sempre classici del rock in versione spagnola) si mescolano ad uno score per nulla banale.
Alla fine di questo film diretto con una liscia e levigata sicurezza non riesce ad essere chiaro a cosa sia esattamente che abbiamo assistito, se alla nascita di un nuovo tipo di criminale, a quella di un serial killer o alla morte di un adolescente come gli altri.
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