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10.5.19

Red Joan (id., 2019)
di Trevor Nunn

Inizialmente sembra di vedere un remake di Lo Straniero d Orson Welles, la storia di una donna che per amore di un uomo prende posizioni difficili, fa il doppio gioco con la sua comunità e sostanzialmente si perde in una spirale alimentata ad arte dal sentimento. Ma in realtà Red Joan non è così attiva, non è un personaggio così complesso. In realtà quella di Red Joan, nome che i giornali hanno affibbiato alla donna che per anni è stata una spia del regime comunista nel Regno Unito e che è stata scoperta decenni dopo la fine della sua attività, è la storia di un’anziana signora britannica, cioè Judi Dench, sballottata negli eventi del ‘900 europeo.

Lei nella sala dell’interrogatorio rievoca gli anni del dopoguerra e della guerra fredda, cosa fece e perché. Per farlo il film usa il gancio della radicalizzazione, parola e concetto moderni usati per esprimere un’idea e una dinamica antica: prendere qualcuno e fargli un lavaggio del cervello a fini politici. Chi ha radicalizzato (o come dice il film “politicizzato”) una donna che in quanto tale non aveva di che immischiarsi nella politica? Sono i rossi comunisti che vivevano nel Regno Unito, un mondo di uomini in cui le donne erano ben più che pedine. Questo dovrebbe raccontare Red Joan ma in realtà fallisce.

Quello che ci viene descritto infatti è una pedina fondamentale dello scacchiere geopolitico europeo ma non sembra mai esserlo, sembra esserlo sempre per sbaglio o per caso. Il film mette bene in chiaro che sia lei la persona che ha creato la pace armata fatta di deterrenti che ha retto dal dopoguerra alla caduta del muro, tuttavia non ne sentiamo mai il peso nella confusissima distensione di una trama scritta così male da Lindsay Shapero che capirla è un’impresa. Ci sono un figlio (nel presente) che non comprende i tempi e giudica con l’occhio di oggi l’operato della madre e un film che (oggi) cerca di leggere in maniera moderna con la lente della radicalizzazione dinamiche molto diverse, così da sfumare le colpe e sostanzialmente facilitarne la lettura (non è colpa sua, erano i comunisti che l’hanno radicalizzata!).

Tuttavia Red Joan è recitato con un tale massimalismo inutile, con una tale enfasi sui figli senza cuore, le riconciliazioni, sui costumi d’epoca e una tale serie di sottolineature sulle scene di suspense che sembra di essere guidati per mano, sembra che ci venga indicato ad ogni snodo che sentimenti provare e ci venga annunciato che sarà un momento forte o una scena sentimentale. Trevor Nunn fa di questo film sostanzialmente un percorso di santità della sua protagonista, vessata da anziana e non considerata da giovane, mai potente e decisiva nonostante poi nei fatti lo sia. Red Joan dovrebbe essere l’esempio di una donna agente segreto decisiva per il ‘900, perfetto simbolo di un periodo e un genere che solo in segreto poteva esserlo, e invece è una donna-vittima che subisce spinte da tutte le parti e sembra agita dagli eventi invece che protagonista di essi. Mentre cerca di sovvertire uno stereotipo odioso non fa che confermarlo.

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