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23.9.06

Una curiosità: I veicoli di Braitenberg, macchine che provano emozioni?

Dallo scorso post su Joan e l'intelligenza artificiale arriva la segnalazione di Fabio dei Veicoli di Braitenberg, esperimento degli anni '80 di interazione robotica e intelligenza artificiale:
I veicoli di Braitenberg sono macchinette teoriche, che Braitenberg immagina di costruire con semplici elementi di input-output e meccanismi che ne consentano il movimento nell'ambiente. Attraverso una serie di capitoli dedicati a comportamenti via via più complessi, Braitenberg immagina con il lettore di combinare in maniere appropriate gli elementi costruttivi, e di osservare poi il comportamento del veicolo e l'effetto del suo repertorio comportamentale su un osservatore. Così, un veicolo dotato di connessioni senso-motorie che lo portano ad avvicinarsi alle fonti di calore e allontanarsi da quelle di luce apparirà come un individuo che "ama" il caldo ma "odia" la luce intensa; un veicolo dotato di connessioni plastiche ricorderà la posizione delle fonti di stimolazione piacevoli; e così via. Ma non c'è nulla di misterioso nel comportamento intelligente dei veicoli, che dipende solo dalle caratteristiche strutturali messevi dal costruttore.
Questa l'espressione teorica della teoria che nella pratica si può riassumere in questo semplicissimo e breve esempio:
Ogni robot ha 2 motori che controllano 2 ruote, a destra e a sinistra, quindi il robot è un cerchio con sotto 2 ruote. Se faccio andare la ruota sinistra più veloce di quella destra, che cosa succede al robot? Gira verso destra. Viceversa se faccio andare la ruota destra più veloce di quella sinistra gira verso sinistra. Se le 2 ruote girano alla stessa velocità il robot va dritto in avanti. A questo robot Braitenberg aggiunge dei sensori. Nelle prime versioni il robot ha un solo sensore che vede luce, ha un certo campo visivo né molto stretto né molto largo, e quando c’è luce questo sensore produce corrente elettrica. Più è forte la luce più corrente elettrica produce.


a questo punto decidiamo arbitrariamente di creare robot che vanno verso la luce e robot che hanno il funzionamento contrario, cioè la rifuggono e chiamiamo i primi aggressivi e i secondi timidi:

Immaginiamo che ho nello stesso ambiente robot timidi con una luce montata dietro e robot aggressivi anch’essi con una luce montata a bordo, e faccio in modo che abbiano un po’ di rumore, in modo da farli comunque girovagare per lo spazio. Questa semplice organizzazione produce comportamenti incredibilmente complessi. Ogni volta che i robot timidi vedono una luce scappano, e ogni volta che un robot aggressivo vede un robot timido lo rincorre perché vede la luce che hanno montato dietro. Se metto diversi robot aggressivi si formano i branchi, ma non solo, se un robot aggressivo finisce in un angolo, da solo non riesce ad uscirne, perché non gli ho dato nessun meccanismo che glielo permetta, ma ecco che un robot aggressivo vede la sua luce, gli va incontro, lo urta e lo butta fuori dall’angolo.

Il nesso di tutto questo dunque è che:
Se una persona, che non conosce il meccanismo di funzionamento di questi robot, osservasse questo comportamento direbbe che questi robot hanno un comportamento sociale, di aiuto reciproco, per cui ogni volta che un robot aggressivo si trova in una posizione da cui non riesce ad uscire tutti gli altri robot aggressivi vanno ad aiutarlo, e anzi quando ce ne sono di più, dato che la luce è più forte, gli altri ci vanno ancora più volentieri fino a diventarne tanti che un urto non separa il blocco. Quindi io psicologo superficiale potrei dire che questi robot hanno evoluto sistemi di aiuto reciproco, importantissimi, che sono altruistici, e chi sa quant’altro ancora. In realtà è tutto dovuto a questo meccanismo stupidissimo che posso scrivere in un programma di 4 o 5 righe di programmazione.

1 commento:

gparker ha detto...

Mi sentirò veramente soddisfatto...


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