L'ultimo film di Ophüls, nonchè il suo primo a colori, è in perfetta linea di continuità con il suo cinema che si è sempre interrogato, sulla fama, la mercificazione del corpo (e quindi del desiderio) e le diverse dimensioni del racconto.
Lola Montes è tutto narrato a partire da diversi flashback che vengono evocati da uno spettacolo circense nel quale è impiegata la stessa Lola, come fenomeno da esibire, belva della seduzione. Lo spettacolo è tutto sulla sua vita, percui alcune parti sono narrate attraverso le dinamiche esagerate ed allegoristiche dell'allestimento circense ed altre invece sono lasciate ai ricordi scatenati nella mente di Lola. Due dimensioni di racconto che rendono la storia difficilmente comprensibile non tanto a livello di fatti (che invece sono molto chiari) ma a livello di interpretazione, sempre in bilico tra esagerazione e realtà.
A livello estetico invece Ophüls opera una serie di curiosi interventi sulle immagini. Nonostante usi il formato cinemascope infatti spesso applica mascherini da cinema americano muto, non per segnalare particolare importanti, ma per restringere l'inquadratura ai soli soggetti parlanti per sottolineare momenti di intimità.
Per il resto tuttavia rimane lo splendore dei colori e la ricchezza della messa in scena, specialmente per quanto riguarda la parte nel circo. E poi il finale che evita sorprendentemente il colpo di teatro e opta per un supposto lieto fine che invece sottolinea con forza la tragicità della mercificazione del desiderio.
Lola Montes è tutto narrato a partire da diversi flashback che vengono evocati da uno spettacolo circense nel quale è impiegata la stessa Lola, come fenomeno da esibire, belva della seduzione. Lo spettacolo è tutto sulla sua vita, percui alcune parti sono narrate attraverso le dinamiche esagerate ed allegoristiche dell'allestimento circense ed altre invece sono lasciate ai ricordi scatenati nella mente di Lola. Due dimensioni di racconto che rendono la storia difficilmente comprensibile non tanto a livello di fatti (che invece sono molto chiari) ma a livello di interpretazione, sempre in bilico tra esagerazione e realtà.
A livello estetico invece Ophüls opera una serie di curiosi interventi sulle immagini. Nonostante usi il formato cinemascope infatti spesso applica mascherini da cinema americano muto, non per segnalare particolare importanti, ma per restringere l'inquadratura ai soli soggetti parlanti per sottolineare momenti di intimità.
Per il resto tuttavia rimane lo splendore dei colori e la ricchezza della messa in scena, specialmente per quanto riguarda la parte nel circo. E poi il finale che evita sorprendentemente il colpo di teatro e opta per un supposto lieto fine che invece sottolinea con forza la tragicità della mercificazione del desiderio.
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