Date le voci che si sono rincorse sulle peculiarità del remake di questo film che sta per uscire nei cinema italiani ad opera di Rob Zombie ripesco l'originale.
Recentemente poi ho visto finalmente Distretto 13, il film che viene prima (ma sempre dopo Dark Star), e che insieme a questo definisce lo stile Carpenter fino almeno a Grosso Guaio a Chinatown.
Molti gli elementi che rendono Halloween un film valevole, dall'idea vincente di ambientare un horror in un contesto cittadino suburbano a quella di non mostrare violenza (se si eccettua la prima scena) per quasi tutto il film, lasciando che la suspense scaturisca dall'attesa dello scatenarsi inevitabile della carneficina, fino a quella (che personalmente preferisco) di inserire intimismo in un genere che fino a quel momento non lo prevedeva.
Halloween è infatti tanto un film dell'orrore (o di suspense) girato in stile serie B (e non con ambizioni più alte come per dire Rosemary's Baby) quanto un film giovanile e intimista, i suoi personaggi sono i primi ad essere a tutto tondo, i primi che prima di essere massacrati mostrano di avere sentimenti, aspirazioni, problemi, incomprensioni e contraddizioni interne. E quello viene mostrato anche più della carneficina stessa, solitamente il cuore del cinema dell'orrore.
Stilisticamente poi Halloween è un unico e gigantesco omaggio ad Argento, sono utilizzate tutte le tecniche più caratteristiche del regista italiano (molte delle quali a sua volta Argento aveva preso da Bava), come in primis la tanto decantata soggettiva iniziale dell'assassino in piano sequenza (che ammetto non ho mai trovato fenomenale), ma anche le entrate a sorpresa degli antagonisti e i particolari abbinamenti con la musica (qui come sempre curata dallo stesso Carpenter).
Recentemente poi ho visto finalmente Distretto 13, il film che viene prima (ma sempre dopo Dark Star), e che insieme a questo definisce lo stile Carpenter fino almeno a Grosso Guaio a Chinatown.
Molti gli elementi che rendono Halloween un film valevole, dall'idea vincente di ambientare un horror in un contesto cittadino suburbano a quella di non mostrare violenza (se si eccettua la prima scena) per quasi tutto il film, lasciando che la suspense scaturisca dall'attesa dello scatenarsi inevitabile della carneficina, fino a quella (che personalmente preferisco) di inserire intimismo in un genere che fino a quel momento non lo prevedeva.
Halloween è infatti tanto un film dell'orrore (o di suspense) girato in stile serie B (e non con ambizioni più alte come per dire Rosemary's Baby) quanto un film giovanile e intimista, i suoi personaggi sono i primi ad essere a tutto tondo, i primi che prima di essere massacrati mostrano di avere sentimenti, aspirazioni, problemi, incomprensioni e contraddizioni interne. E quello viene mostrato anche più della carneficina stessa, solitamente il cuore del cinema dell'orrore.
Stilisticamente poi Halloween è un unico e gigantesco omaggio ad Argento, sono utilizzate tutte le tecniche più caratteristiche del regista italiano (molte delle quali a sua volta Argento aveva preso da Bava), come in primis la tanto decantata soggettiva iniziale dell'assassino in piano sequenza (che ammetto non ho mai trovato fenomenale), ma anche le entrate a sorpresa degli antagonisti e i particolari abbinamenti con la musica (qui come sempre curata dallo stesso Carpenter).
14 commenti:
Ripescaggio giustissimo prima di guardare la versione di Zombie. Non è il mio preferito di Carpenter, ma ha davvero la sua forza, innegabilmente. Carpenter cita Argento, è vero, ma evita del tutto quello che a mio parere è un po' la "pornografia" argentiana: Carpenter non insiste, non mostra il gore, crea soprattutto una grandissima tensione. Lui sa, ha capito, che il punto forte sono i caratteri dei personaggi (che in argento sono burattini) e non le loro interiora.
Sono daccordo. Tuttavia il senso della paura e il virtuosismo autoriale di Argento Carpenter non li ha. E' più intelligente che istintuale.
La soggettiva del killer è interessante perché ribalta la struttura del fantastico ottocentesco (vd. gli studi di Todorov e Orlando), in cui la tensione è creata proprio perché lo sguardo è stretto sulla vittima, mentre il carnefice soprannaturale è invisibile, forse inesistente e spiegabile razionalmente. Volendo invece rimanere in ambito cinematografico, tralascia i sobbalzi horroreschi per abbracciare la suspence hitchcockiana. O una roba del genere.
Sicuramente un lungo pianosequenza è più cinematografico di un'inquadratura unica, tuttavia io ho sempre pensato che la soggettiva sia l'esatto contrario dell'immedesimazione. Ti tira fuori dal film.
Rivisto stasera e a sangue caldo ritratto: i sobbalzi horroreschi ci sono eccome, soprattutto grazie all'inutile sceriffo (la figura dello sceriffo di provincia è uno degli stereotipi connaturati in certo cinema), ma credo ancora che l'immedesimazione col punto di vista di Michael sia vincente. A livello di script ci ripetono in continuazione che lui è il diavolo, lo psicologismo da serial killer complessato ci è negato (pur se qua e là suggerito) ma la soggettiva ci costringe cinematograficamente a immedesimarci con l'incontrollabile e sconosciuta violenza che abita una parte di noi (vedi la bruttina ma rivelatoria immagine dello smascheramento di michael: da ombra della strega a uomo). No, pur tenendo a mente la tua idea mentre lo riguardavo, non riesco a vedere come QUESTA soggettiva (non tutte, questa) possa tirare fuori dal film. Mi sembra macroscopicamente strutturale, se non ideologica. Quell'inizio dà la chiave (e innesca dei parallelismi tra Myers e la ragazza: sue sono infatti le altre uniche soggettive, come per altro lei è la sola a usare il coltello, e lo usa contro di lui).
Comunque qui ho appena scritto una cosa un po' più articolata (o prolissa?) a riguardo: http://ilbiancoattorno.splinder.com/post/15436280
Concordo con te sul fatto che questo è l'effetto che vuole ottenere Carpenter e concordo sulle dinamiche e i precedenti sui quali si basa.
Tuttavia non concordo sull'esito. Come ho già detto non credo alla soggettiva come pratica che faciliti l'immedesimazione ma anzi. Come tutte le tecniche registiche che palesano la presenza di un demiurgo, che non sono trasparenti e che "forzano" la natura del racconto per immagini rompendone la classica dinamica di montaggio invisibile (tipico dello stile americano classico) non possono che ribadire per lo spettatore la sua posizione appunto di spettatore di un film e non l'illusione di una partecipazione ai fatti.
Non voglio assolutamente dire che l'unica vera narrazione sia quella del montaggio invisibile, anzi. Ritengo tuttavia che il massimo dell'immedesimazione con una delle varie parti in causa si raggiunga attraverso una dinamica più classica del racconto e senza forzarne le immagini ma lasciando invece che lo spettatore dimentichi di essere al cinema.
La soggettiva come gli artifici che forzano il linguaggio classico (come tutti quelli tipici di Godard e della Nouvelle Vague) sono un'affermazione forte di cinema, e di protagonismo del cinema in sè e non della narrazione. Cosa che in sè non è assolutamente male, ma secondo me non siamo nel campo dell'immedesimazione.
Sono sicuramente d'accordo sul discorso tecnico: e infatti l'immedesimazione in chiave strettamente narrativa a vedere bene investe comunque Laurie e gli altri ragazzi, cioè le vittime. I sobbalzi con musica annessa, l'uso della suspence vanno infatti in quella direzione: gli spettatori si preoccupano della sorte dei personaggi. MA il tipo di immedesimazione che riscontro nella scelta di una soggettiva ostentata è però a un livello più nascosto, come cercavo di spiegare nel blog (e forse non mi è riuscito): è come un'immedesimazione a doppio fondo, a livello narrativo l'immedesimazione è classica, con la vittima. A un livello più nascosto, direi morale o riflessivo, Carpenter insinua forse non tanto una mimesi, un'immedesimazione (che implica una trasposizione di sé nell'altro finzionale, un parteggiare), ma quasi un'identificazione tra Michael e lo spettatore, anche per quel discorso del voyeurismo dell'assassino a cui accennavo. Nella prima scena gli elementi ci sono tutti: lo spiare dalla finestra, l'assassinio attraverso un binocolo giocattolo. E queste cose torneranno in tutto il film, quell'intimismo di cui parlavi nel tuo blog è anche intimità, e noi spettatori siamo chiamati a spiare questi ragazzi (pensa alle numerose scene in cui li vediamo parlare da soli, spogliarsi, telefonare), e poi a compartecipare al loro assassinio; il portale verso questa forma di identificazione è la soggettiva iniziale. Non ricordo film horror precedenti a questo che la usassero così sistematicamente, e con questo fine preciso e se ora siamo forse vaccinati, non credo davvero che chi vide il film nel 78 registrasse come "metacinematografico" l'uso delle soggettive. Credo invece che sottopelle si insinuasse un meccanismo paradossale del tipo che ho detto: immedesimazione con le vittime ma identificazione col carnefice. E per me tutto sommato è ancora così.
Se quello che intendi dire è che il concetto che sottende quelle scelte di regia è precisamente la volontà di comunicare che stavolta lo spettatore non è vittima ma è carnefice allora sono sicuramente daccordo.
E' semmai sul risultato che non concordo, trovo che poi lo spettatore prende sempre la parte della vittima, sia esso il buono o il cattivo della situazione.
Ecco ma appunto: quello che intendo dire è che si crea un conflitto tra l'immedesimazione (che è sempre con le vittime, vedi appunto i sobbalzi con musica e l'uso della suspence) e una concreta insinuazione, attraverso le soggettive, che Michael sia dentro di noi, sia l'ombra della strega immortale e imprendibile. Quindi, ricapitalando: l'immedesimazione è con le vittime sicuramente (e volontariamente da parte di Carpenter) ma in più si insinua fortemente il dubbio che l'assassino alberghi nello spettatore, nella parte sadica che è in ognuno di noi. Lo spettatore continua inevitabilmente a parteggiare nelle vittime proprio mentre Carpenter lo scopre carnefice. Un paradosso disturbante che fa da spina dorsale nascosta del film.
Si ma secondo me è tutto unicamente concettuale. Una cosa più da speculazione critica che da effettivo diverso coinvolgimento dello spettatore. Per tutta la questione della soggettiva ecc. ecc. di cui sopra.
Questa suona un po' come un "piantala di farti seghe mentali inopportune". :D
:) No era più del tipo: ok alla concettualizzazione di simili pratiche ma poi il raggiungimento di un fine nel film è una cosa separata.
Come ti ho detto, secondo me l'immedesimazione canonica tramite la suspence nel film convive senza problemi con l'elemento della soggettiva personificante. Sono tecniche diverse con finalità diverse, un gioco dentro-fuori che alterna carnefice e vittima. E secondo me la cosa passa allo spettatore. O almeno, allo spettatore che non sente come irreparabilmente artificioso l'uso della soggettiva. :D
Posta un commento