Jane Campion dirige un film in costume ottocentesco con al centro una donna che usa l'arte per comunicare con un uomo che ama e da cui è amata in maniera passionale, ma al quale non può unirsi a causa delle regole sociali. Contornata da una bambina piccola rompiscatole e incastrata in paesaggi umidi e vasti dove si muove con la libertà di chi è solo al mondo, la donna raccoglie in sè il proprio dolore che giungerà al culmine nel finale.
Non è Lezioni di Piano. E' Bright Star.
Superfluo notare le somiglianze contenutistiche e stilistiche tra i due film. Sebbene il confronto sia folle e impossibile (capolavoro irraggiungibile il primo, blando exploit il secondo), Bright Star cerca di portare avanti un'idea di interpretazione di mondo: vedere l'amore e l'arte come prolungamento l'uno dell'altra e interpretare il primo assieme al pubblico proprio grazie al grimaldello della seconda. La musica di Lezioni di Piano come le parole poetiche di Bright Star.
Al centro di tutto c'è il poeta John Keats e la sua vita breve, vista dal punto di vista della donna che l'ha amato e ispirato e che lui ha desiderato (la stella lucente del titolo). Certo la parola non ha la medesima immediatezza della musica e quindi non c'è uno spirito rude da conquistare ma semmai un animo pronto a ricevere che si arricchisce dall'incontro con il poeta.
Tuttavia davvero non è una questione di forma d'arte. A parità di tragicità e di visione della vita come ineluttabile destino, con quelle panoramica larghissime nelle quali piccoli personaggi si muovono in lande sconfinate o quei momenti di noia riempiti con giochi all'aperto, danze e passeggiate, quello che sembra mancare in Bright Star, e che invece attizzava continuamente la fiamma di Lezioni di Piano, è una dimensione estetica adeguata al narrato.
Jane Campion cita molto la luminosità di Hopper, guarda ai piccoli gesti da vicinissmo con particolare attenzione alla scrittura delle parole e al gesto artistico (sia la scrittura, sia la sartoria) e tutto l'immaginario iconografico di ampio respiro per una storia di fiati corti, mentre in Lezioni di Piano chiudeva i suoi personaggi nelle umide foreste per aprirli alle spiagge (umidissime) solo quando era funzionale alla storia.
Ad ogni modo una cosa per appassionati del melodrammone in cui ci si strugge una cifra. A me è piaciuto.
Non è Lezioni di Piano. E' Bright Star.
Superfluo notare le somiglianze contenutistiche e stilistiche tra i due film. Sebbene il confronto sia folle e impossibile (capolavoro irraggiungibile il primo, blando exploit il secondo), Bright Star cerca di portare avanti un'idea di interpretazione di mondo: vedere l'amore e l'arte come prolungamento l'uno dell'altra e interpretare il primo assieme al pubblico proprio grazie al grimaldello della seconda. La musica di Lezioni di Piano come le parole poetiche di Bright Star.
Al centro di tutto c'è il poeta John Keats e la sua vita breve, vista dal punto di vista della donna che l'ha amato e ispirato e che lui ha desiderato (la stella lucente del titolo). Certo la parola non ha la medesima immediatezza della musica e quindi non c'è uno spirito rude da conquistare ma semmai un animo pronto a ricevere che si arricchisce dall'incontro con il poeta.
Tuttavia davvero non è una questione di forma d'arte. A parità di tragicità e di visione della vita come ineluttabile destino, con quelle panoramica larghissime nelle quali piccoli personaggi si muovono in lande sconfinate o quei momenti di noia riempiti con giochi all'aperto, danze e passeggiate, quello che sembra mancare in Bright Star, e che invece attizzava continuamente la fiamma di Lezioni di Piano, è una dimensione estetica adeguata al narrato.
Jane Campion cita molto la luminosità di Hopper, guarda ai piccoli gesti da vicinissmo con particolare attenzione alla scrittura delle parole e al gesto artistico (sia la scrittura, sia la sartoria) e tutto l'immaginario iconografico di ampio respiro per una storia di fiati corti, mentre in Lezioni di Piano chiudeva i suoi personaggi nelle umide foreste per aprirli alle spiagge (umidissime) solo quando era funzionale alla storia.
Ad ogni modo una cosa per appassionati del melodrammone in cui ci si strugge una cifra. A me è piaciuto.
9 commenti:
Da bambino detestavo i melodrammi... Ricordo che sognavo che ad un certo punto della storia entrasse in scena un personaggio preso da un film d'azione anni ottanta (qualsiasi scelta e buona), e uccidesse tutti i personaggi con due Uzi.
Specialmente quei personaggi che guardano gli altri da dietro una finestra, super rancorosi (Candy Candy docet...).
Pensavo di essere matto, tuttavia trovai una trasfigurazione perfetta di questo mio pensiero nel film Last Action Hero, che mi confermo che e un pensiero di tutti gli amanti del cinema d'azione.
Quando Schwarzenegger recita l'Amleto, e fumando un havana dice "essere o non essere: NON ESSERE" e poi fa esplodere il castello, capii che non ero solo.
Capii che siamo in tanti a schifare i melodrammi.
Non vedo l'ora che esca nelle sale. Tutto questo che dici si chiama dirigere il film in maniera veramente femmina.
Affascinante.
Comunque, nell'atto di entrare in un contesto così intimista e distruggere tutto con violenza reganiana ci vedo una pulsione sessuale esplicita.
Insomma io invece di Swarznegger vedo entrare dietro di lei, sporta sulla finestra, Siffredi. E lì scatta l'Oscar.
si ok, ma se il protagonista del dramma e un uomo?
Voglio dire, Siffredi che fa, entra nel castello danese da una finestra e "battezza" Amleto?! O Shakespeare direttamente, di modo da risolvere il problema alla radice?
Lo vedrò dopodomani... A me di solito i melodrammoni piacciono, ma la Campion la detesto sin da "Lezioni di piano" (ricordò che uscii dal cinema incazzatissimo).
concordo sul fatto che se si deve rompere l'idillio intimista non lo si fa per uccidere ma per possedere.
questo non è troppo lontano da lezioni di piano sebbene meno fiammeggiante e meno dirompente.
Siete tutti dei mostri senza cuore.
Flavia.
Update: più passa il tempo più mi piace
Visto: non ho cambiato idea su Jane Campion, Piatto e noiosissimo.
nooooooo :)
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