Buried è un film in una cassa. Una cassa da morto. Cioè ha una di quelle trame che al solo vedere il trailer vorresti iniettartela tutta in vena. Un uomo si sveglia in una bara e non sa perchè, è legato mani e bocca e dalla terra che entra dalle fessure della cassa di legno subito capisce che sta anche sottoterra. Chi lo ha seppellito però ha messo nella cassa anche un telefono cellulare (e diversi altri oggetti) che, vista la poca profondità cui è stato seppellito, ha campo e consente di comunicare con l'esterno. E comunicare con l'esterno è proprio quello che il protagonista deve fare.
Rodrigo Cortés scrive, dirige e monta l'impossibile racconto di un uomo chiuso in uno spazio angusto per 90 minuti, dosando con grande abilità drammaturgica la claustrofobia: forte all'inizio, minore in seguito e poi ad ondate quando serve. Non è infatti solo l'inventiva dei tanti possibili modi di inquadrare, riprendere e giocare con le immagini all'interno di una bara a stupire, ma come, a fronte di tante idee, il regista riesca anche a gestire il senso di prigionia, paura e ineluttabilità senza premere costantemente sull'acceleratore come verrebbe spontaneo fare.
E in tutto questo non si fa mancare nulla Cortés: zoom avanti e indietro, carrelli, piani sequenza, totali....
Ma se la fotografia e il montaggio sono intelligenti e funzionali, il vero miracolo lo compie la sceneggiatura che, poggiandosi su di essi, tiene viva l'attenzione per 90 minuti e anche quando zoppica allungando un po' il brodo (la telefonata alla madre ad esempio), si cava d'impaccio con qualche idea visiva o con un'impennata claustrofobica che ricorda al pubblico "Ehi questo sono diverse decine di minuti che sta in una cassa da morto in cui l'ossigeno tra poco finisce!".
Su tutto regna Ryan Reynolds, che da oggi ufficialmente diventa degno di stima, per come non cerchi mai l'esagerazione e come accetti intelligentemente di recitare su toni sommessi. La sua performance, se si escludono 3-4 scatti d'ira e paura, è tutta giocata sui piani d'ascolto, sulle piccole variazione e soprattutto sugli spasmi incontrollati del viso, proprio là dove altri attori con manie di protagonismo avrebbero optato per implausibili espressioni caricate che ammiccano al pubblico più che cercare il realismo delle emozioni e cercano l'applauso o il premio.
Astenersi maniaci della plausibilità ad ogni costo.
Rodrigo Cortés scrive, dirige e monta l'impossibile racconto di un uomo chiuso in uno spazio angusto per 90 minuti, dosando con grande abilità drammaturgica la claustrofobia: forte all'inizio, minore in seguito e poi ad ondate quando serve. Non è infatti solo l'inventiva dei tanti possibili modi di inquadrare, riprendere e giocare con le immagini all'interno di una bara a stupire, ma come, a fronte di tante idee, il regista riesca anche a gestire il senso di prigionia, paura e ineluttabilità senza premere costantemente sull'acceleratore come verrebbe spontaneo fare.
E in tutto questo non si fa mancare nulla Cortés: zoom avanti e indietro, carrelli, piani sequenza, totali....
Ma se la fotografia e il montaggio sono intelligenti e funzionali, il vero miracolo lo compie la sceneggiatura che, poggiandosi su di essi, tiene viva l'attenzione per 90 minuti e anche quando zoppica allungando un po' il brodo (la telefonata alla madre ad esempio), si cava d'impaccio con qualche idea visiva o con un'impennata claustrofobica che ricorda al pubblico "Ehi questo sono diverse decine di minuti che sta in una cassa da morto in cui l'ossigeno tra poco finisce!".
Su tutto regna Ryan Reynolds, che da oggi ufficialmente diventa degno di stima, per come non cerchi mai l'esagerazione e come accetti intelligentemente di recitare su toni sommessi. La sua performance, se si escludono 3-4 scatti d'ira e paura, è tutta giocata sui piani d'ascolto, sulle piccole variazione e soprattutto sugli spasmi incontrollati del viso, proprio là dove altri attori con manie di protagonismo avrebbero optato per implausibili espressioni caricate che ammiccano al pubblico più che cercare il realismo delle emozioni e cercano l'applauso o il premio.
Astenersi maniaci della plausibilità ad ogni costo.
12 commenti:
E' in assoluto il film che mi incuriosisce di più tra quelli in uscita. Ryan Reynolds che sa recitare non ci credo però...
Ale55andra
Film per fare cassa.
è un film che bara ma incassa
ma tu guarda uno dovrebbe fa' il critico serio e invece.....
sorvolando sulla battuta.....ma è tutto girato nella bara o fanno vedere anche l'esterno?
non te lo posso dire, ti rovinerei la suspense del finale. Ad ogni modo ti posso garantire che il 90% del film è nella bara, poi se il restante 10% sia ancora dentro o mostri il fuori te lo devi strippare.
Ad ogni modo se hai paura dell'eccessiva claustrofobia sappi che all'inizio ci sono 10 minuti dove spinge tantissimo sulla tensione da chiuso, poi però allenta, ti fa respirare e accelera solo quando serve.
premettendo che la claustrofobia non mi interessa e che cmq non penso prprio di andarlo a vedere....mi sarebbe intrippato se fosse stato un film fatto esclusivamente nella bara.....per vedere come potevano fare un film soltanto nella bara....ma già sto fatto del 10% che sarà fuori o sotto terra o magari era un sogno o cose del genere mi conferma la voglia di non vederlo....
p.s. al massimo, anche se non te lo dovrei dire, me lo scarico....
no aspetta io non ho detto questo.
Ho detto che ti garantisco che il 90% è nella bara, mentre per il 10% non te lo dico perchè sapere se anche quello è nella bara o se non lo è rovina la suspense.
Quindi effettivamente potrebbe essere tutto nella bara.
ok capisco che non puoi rivelare il finale sul blog....però mandami un'email se non vuoi che sconfino nella pirateria e lo scopro da solo....
NO! non lo fare per carità!
Quando vado nei bagni pubblici, al momento di far scattare la serratura per aprire la porta ho sempre un colpo di adrenalina: temo di essere rimasta chiusa dentro. Questa sono io. Gabri, lo posso vedè 'sto film o no?
FLAVIA.
Proprio tu lo devi vedere! La catarsi! La catarsi!!!
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