C'era eccitazione all'idea di un film di Clint Eastwood che avesse a che vedere con il paranormale, complice il solito trailer ingannevole. In realtà Hereafter è un film sugli uomini e sul loro rapporto con l'al di là, i propri cari defunti e via dicendo. Ancora una volta persone normali che si battono contro la società che la pensa diversamente da loro.
Per parlare di questo Eastwood usa la figura del medium, l'uomo che dialoga con i trapassati ma a parte alcune inquadrature al buio sfocate che dovrebbero essere il regno di mezzo tra qui e lì non c'è molto di più. Nè tantomeno si tratta di un film che utilizza il paranormale ai fini della trama (se non in una scena).
La cosa più sorprendente è come Eastwood e Peter Morgan (lo sceneggiatore) credano in questo al di là, nella banalità della sua esistenza (i morti che parlano con i vivi danno loro consigli come angeli custodi) e nella possibilità di interazione tra i due mondi (ciarlatani a parte). Forse proprio in questa spiazzante presa di posizione sta la parte peggiore di un film decisamente troppo lungo già dopo un'ora, che non ha la forza della superbia intellettuale ma la debolezza della superstizione.
E stavolta gioca contro il godimento del film il solito stile compassato, minimale, controllato e rigoroso di Eastwood, che non ha nessuna fretta nel raccontare una storia che il pubblico ha fretta di smettere di guardare. Mentre infatti le tre storie principali nel loro dipanarsi iniziale sono molto ben distese e raccontate, il loro successivo (e molto tardivo) intrecciarsi è decisamente più difficoltoso.
Ci sono due gemelli di cui uno morto, una giornalista sopravvissuta allo tsunami haitiano e appunto il medium. Tutti cercano l'al di là o hanno un rapporto con esso. E' impossibile però non ravvisare la mancanza di un filo conduttore vero tra le linee di trama, così a fronte dei soliti momenti eccellenti (i primi minuti di vita insieme dei due gemelli, il tentato approccio al corso di cucina) manca poi il collante che li renda parte di un tutto omogeneo.
Solo il personaggio di Matt Damon, il medium, sembra davvero riuscito: un uomo onestamente medio, vestito senza guizzi, con un taglio di capelli brutto come solo chi non si cura, senza personalità forte e in questo senso in grado di andare oltre il racconto dei propri fatti, terminando in un imbuto di cene solitarie in cucina, inquadrato da un'angolatura dello stipite della porta o seduto sull'angolo del letto di una camera di hotel mentre nel silenzio guarda immagini di uno sport che non gli appartiene.
Momenti fantastici persi in un film dimenticabile.
Per parlare di questo Eastwood usa la figura del medium, l'uomo che dialoga con i trapassati ma a parte alcune inquadrature al buio sfocate che dovrebbero essere il regno di mezzo tra qui e lì non c'è molto di più. Nè tantomeno si tratta di un film che utilizza il paranormale ai fini della trama (se non in una scena).
La cosa più sorprendente è come Eastwood e Peter Morgan (lo sceneggiatore) credano in questo al di là, nella banalità della sua esistenza (i morti che parlano con i vivi danno loro consigli come angeli custodi) e nella possibilità di interazione tra i due mondi (ciarlatani a parte). Forse proprio in questa spiazzante presa di posizione sta la parte peggiore di un film decisamente troppo lungo già dopo un'ora, che non ha la forza della superbia intellettuale ma la debolezza della superstizione.
E stavolta gioca contro il godimento del film il solito stile compassato, minimale, controllato e rigoroso di Eastwood, che non ha nessuna fretta nel raccontare una storia che il pubblico ha fretta di smettere di guardare. Mentre infatti le tre storie principali nel loro dipanarsi iniziale sono molto ben distese e raccontate, il loro successivo (e molto tardivo) intrecciarsi è decisamente più difficoltoso.
Ci sono due gemelli di cui uno morto, una giornalista sopravvissuta allo tsunami haitiano e appunto il medium. Tutti cercano l'al di là o hanno un rapporto con esso. E' impossibile però non ravvisare la mancanza di un filo conduttore vero tra le linee di trama, così a fronte dei soliti momenti eccellenti (i primi minuti di vita insieme dei due gemelli, il tentato approccio al corso di cucina) manca poi il collante che li renda parte di un tutto omogeneo.
Solo il personaggio di Matt Damon, il medium, sembra davvero riuscito: un uomo onestamente medio, vestito senza guizzi, con un taglio di capelli brutto come solo chi non si cura, senza personalità forte e in questo senso in grado di andare oltre il racconto dei propri fatti, terminando in un imbuto di cene solitarie in cucina, inquadrato da un'angolatura dello stipite della porta o seduto sull'angolo del letto di una camera di hotel mentre nel silenzio guarda immagini di uno sport che non gli appartiene.
Momenti fantastici persi in un film dimenticabile.
6 commenti:
Felice di vedere che la pensiamo allo stesso modo... per me è stata la delusione più grande (l'unica in realtà) del Torino Film Festival.
Anche io sono certo che arriveranno una valanga di giudizi positivi
Non ci voglio credere che Eastwood possa deludermi due volte di seguito. Quindi dopo la delusione di Invictus spero vivamente che con Hereafter mi andrà meglio...
Ale55andra
Sono molto d'accordo, in particolare per l'intreccio delle tre trame. Sembrava non dovessero incrociarsi mai e che il film stesso non riuscisse a condurre ad una finalità precisa.
Al TFF l'avevo perso ed è stato meglio così.
si la mancanza di intreccio fino a poco dalla fine è talmente estrema e marcata da essera un precisa volontà, un tentativo strano e a suo modo "sperimentale" (veramente con tutte le virgolette del caso). Pure secondo me alla fine non paga molto però.
completamente d'accordo, è la recensione che meglio mi rappresenta
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