Quanti film ha girato dentro i suoi film Nanni Moretti? Quanti set finti ha ripreso e storie fasulle ha abbozzato? Musical, ricostruzioni politiche, serie B, opere in costume, pubblicità, horror e via dicendo, tutte cose che non farebbe mai davvero ma che gli piace fingere di fare. Stavolta c'è un film su una fabbrica in crisi e i suoi operai in protesta per il diritto a lavorare, una produzione tipicamente italiana e atipicamente morettiana. Insomma al centro della sua nuova opera c'è di nuovo una regista che somiglia molto a Moretti per come lo conosciamo dai suoi film (Margherita Buy), sta girando un film con un attore straniero (John Turturro) e parallelamente si prende cura assieme a suo fratello (Moretti stesso) della madre ormai arrivata alla fine della propria vita, prossima alla morte ma ancora lucida. In sintesi è questa la trama di Mia Madre: da una parte due figli che devono rassegnarsi all'idea e alla sofferenza dell'avvicinamento al decesso della madre, dall'altra l'esigenza di continuare a lavorare, presi da questioni importanti, nonostante si sia altrove con la testa (nessuno nel film sembra riuscire a lavorare serenamente anche chi non appartiene alla famiglia protagonista).
Queste due dimensioni del film sono mescolate con l'obiettivo di raccontare come funzioni l'elaborazione di un lutto che ancora non è avvenuto, contaminato da un senso generale di inadeguatezza ai propri ruoli (regista, figlia al capezzale e partner di un uomo da cui si è lasciata).
Come capita già da qualche film Nanni Moretti sceglie anche stavolta di mettersi da parte, interpretando un ruolo secondario e posizionando qualcun altro al centro della scena con un personaggio scritto per somigliargli. Il risultato non cambia molto se non per il fatto che si crea uno spiacevole effetto di "ingombro". Moretti non è un attore e un autore come altri, la sua riconoscibilità e personalità sono molto forti ma sembra stranamente inconsapevole di tutto ciò, di quanto cioè la sua figura possa fare ombra. Anche se presente in modo marginale tende ad assorbire tutto l'interesse, levando carisma e forza al personaggio principale, attirando il pubblico sui problemi del suo personaggio (qui più fumosi che mai, incluso un licenziamento senza molto senso).
Ma pur al di là delle stranezze di questa fase della filmografia del suo autore Mia Madre ha la medesima pervicacia di La stanza del figlio nel voler coinvolgere lo spettatore in una discesa verso il dolore, la medesima perversione nel girargli attorno come un avvoltoio fino a beccare i suoi personaggi in un atteggiamento, un tic o un crollo che ne rivelino lo stato più intimo, che parlino con empatia della loro sofferenza. Eppure, sebbene voglia mostrare quanto più è possibile di quel dolore, si percepisce una certa stanchezza in questo movimento, come se non ci provasse realmente ma ricalcasse i luoghi comuni del proprio repertorio. Se un simile proposito aveva senso nel narrare di un figlio già morto e del masochismo insito nel rigirare il coltello nelle proprie piaghe per espiare colpe immaginarie, su un lutto a venire pare solamente pornografico.
Dall'altra parte anche la sezione più leggera del film, quella relativa alle bizze sul set dell'attore americano esagerato e paradossale di Turturro (incredibile quanta personalità porti anche in un film di Moretti!), non si coniuga perfettamente con il resto, alla stessa maniera in cui il torneo di pallavolo di Habemus Papam funzionava bene ma a sè, non sempre integrato con l'odissea di Michel Piccoli. Una stonatura (quella tra il professionale e il privato della storia) che non viene tanto dalla diversa natura delle due parti (una commedia, l'altra tragedia) quanto dal fatto che Mia Madre il suo meglio lo dà nell'oscillare tra sogno e realtà, e le gag di Turturro sul set ne sono completamente avulse.
Il vero merito del film è infatti di prendere le idee di Sogni d'Oro e portarle avanti a 30 anni di distanza con rinnovata inventiva. Spesso è difficile capire dall'inizio di una scena se quello che stiamo guardando è un sogno, un ricordo o la realtà e alle volte alcuni sogni sono di una bellezza commovente, come quello in cui Margherita passeggia a fianco di una paradossale e assurda fila indiana fuori da un cinema di Roma e in questa trova parenti, amici, la madre (in realtà in ospedale) e ad un certo punto se stessa da giovane assieme ad un perduto amore. In punti come questi, calchi di Fellini filtrati attraverso il minimalismo di Woody Allen, si respira un'aria completamente diversa, un'indeterminatezza in realtà molto concreta e sincera. Sono le uniche volte che al desiderio di osservare da vicino il dolore per sconfiggerlo si sostituisce la voglia di mostrare qualcosa che nemmeno l'autore comprende fino in fondo, le parti di vero cinema.
5 commenti:
Un bel film. Un commovente omaggio. Tuttavia non abbastanza morettiano per i miei gusti. I suoi più accaniti sostenitori resteranno delusi.
non t'è sembrato proprio una cosa seduta, moscia?
A me il film ha entusiasmato. il film secondo me racconta di come la perdita di un genitore offra anche l'occasione per ripensare se stessi. La vecchiaia della madre incombe anche sul futuro dei figli che, pur avendo un legame molto forte, reagiscono all'evento in modi molto diversi. Inizia una nuova fase della loro esistenza e l'impreparazione della protagonista è resa in modo commovente, anche grazie al l'interpretazione della grandissima buy. Caro Gabriele, non ho davvero trovato moscio il film, ma forse la mia età (54), mi ha fornito qualche chiave di lettura in più. La ringrazio comunque molto per le continue occasioni di riflessione che mi offre con le sue belle recensioni. Marco
Grazie dei complimento
sono contento che il film in generale stia piacendo, di certo su chi è più vicino per età a moretti e alla sua situazione è chiaro che il film possa avere un impatto maggiore ma ammetto che speravo in qualcosa di più universale
moscio per niente..e più passano le ore e più ci penso e più mi è piaciuto..
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