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14.2.16

War on everyone (2016)
di John Michael McDonagh

Questa volta John Michael McDonagh non ha cercato il fascino sofisticato di Calvary, ma sembra esere andato alla ricerca di un feeling da serie tv poliziesca anni '80, una dimensione d'azione molto poco concreta e sempre in bilico sul confine del ridicolo. A questo ovviamente si unisce quel tipo di umorismo che è ormai un suo marchio di fabbrica. I due poliziotti protagonisti, in guerra con tutti sono la caricatura del poliziotto duro e contemporaneamente la sua esasperazione. Troppo duri e troppo anticonformisti, come lo sceriffo di Un poliziotto da happy hour si trovano spesso al di là dei soliti confini morali. L'etica insomma non è il loro forte ed è molto più semplice odiarli che amarli. Forse proprio per questo McDonagh gli contrappone dei cattvi da operetta, tra Starsky e Hutch e una puntata dell'A-Team, ancora più insulsi e spietati di loro, manichini da prendere a pugni.

Purtroppo dopo un po' le risate però si spengono per il continuo ripetersi delle medesime ironie e proprio quando la storia ingrana e i personaggi da figurine bidimensionali sembrano prendere uno spessore, McDonagh non riesce ad operare la trasformazione di stile e tono che era la parte migliore di Un poliziotto da happy hour. Questo invece è un film che in buona sostanza muore lentamente, lasciando agonizzare i suoi personaggi nonostante in un ultimo afflato di speranza cerchino di dimostrare d'essere più interessanti di quanto non si creda. Ma quando accade è troppo tardi, l'intreccio ci ha messo troppo a tendersi e il non seguire (per scelta) uno svolgimento da vero poliziesco a questo punto finisce per compromettere il ritmo. Nè usuale e semplice da seguire, nè inusuale ma pieno di svolte appassionanti.

Certo, solo un regista così fieramente oltre ogni schema, poteva girare un lungo episodio da vecchia serie tv e fare una parodia di qualcosa che è già parodico di suo. Solo un regista e autore così interessante poteva trasformare la coppia Peña/Skarsagard in due antieroi fastidiosi e necessari. Solo lui poteva riuscire nell'impresa di lasciare una sensazione di complessità che provoca invece che cullare lo spettatore. Per quanto poco riuscito al film va comunque dato il merito di porre le domande meno usuali, di interrogare lo spettatore sulle sue idee preconcette di bene e male e di farlo non con le più consuete e banali pomposità filosofiche, snob e molto vacue, ma utilizzando come nessun altro lo stile grottesco e l'arma del ridicolo.
Come mai un autore che padroneggia così bene i tempi comici e l'ironia non riesca poi a mantenere un ritmo alto a sufficienza da consentirgli di indugiare su svolgimenti poco canonici rimane un mistero.

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