C’è subito qualcosa di diverso in Amori e Inganni, qualcosa di diverso dalle solite commedie in costume o dai soliti drammi tratti da romanzi di Jane Austen.
La maniera anticonvenzionale con la quale la storia di Lady Susan viene portata avanti, con una sorta di piacere perverso per l’anticonformismo e la celebrazione di un intelletto femminile in grado di scardinare molte regole dall’interno (ma non di evitare di subirne le conseguenze), non ha niente del quieto vivere verso cui tendono le solite commedie. C’è insomma quell’idea tipica di Jane Austen per la quale le convenzioni sociali sono una gabbia per le donne (nella sua epoca ma anche oggi come dimostrano i molti adattamenti modernizzati) con in più un piacere inedito, quasi infantile e vendicativo nel mettere in scena il loro sovvertimento.
Non stupisce quindi scoprire che Lady Susan, la commedia di Jane Austen da cui è tratto il film, sia un’opera giovanile. Stilman da par suo sembra godere di ogni piccolo anfratto in cui può infilare il fascino maturo di Kate Beckinsale, assieme alla sua potenza sessuale, per raggirare o manipolare gli altri uomini e donne, interpretati da attori scelti bene per opporsi a lei prima di tutto fisicamente.
Kate Beckinsale non è un volto e un corpo tradizionalmente associato con il cinema in costume, perché portatore di una sana sfacciataggine moderna, è un corpo erotico che al cinema è maturato nella serie Underworld, prendendo contorni sempre più fumettistici, iperbolici e caricaturali che tuttavia le si addicono.
Invece Amore e Inganni ritaglia un cast di contorno di facce e corpi convenzionali, inquadrati nello stereotipo sociale, una massa che si somiglia in cui la protagonista emerge per come appare. La maniera in cui poi trama, scambia e si dimostra impermeabile a quel sentimentalismo ostentato da tutti (lo è addirittura anche nei confronti della figlia) è l’atto più clamoroso di ribellione alle convenzioni sociali non solo dell’epoca o moderne, ma proprio del cinema. Antipatica, nemmeno troppo vincente, ma tremendamente contagiosa nel suo ostentare la propria superiorità intellettuale e la propria libertà godereccia, Lady Susan più che una protagonista è un’eroina della liberazione.
È evidente che poi le gag e l’umorismo più ordinario non reggano la prova del tempo e che la commedia funzioni più che altro nel suo alternarsi di intrecci, più che nelle sue battute o nei suoi tempi comici (che Stillman, va detto, non aiuta molto). Tuttavia raramente capita di assistere ad un simile show di lotta contro le convenzioni, una simile presa in giro delle ossessioni conservatrici, condotta con una protagonista così in linea con le pulsioni opposte a quelle delle persone che la circondano.
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