L’ultimo ritrovato nel settore della tenerezza a buon mercato è La Mia Vita da Zucchina, animazione in stop motion per bambini solo sulla carta, nella realtà per adulti che amano le cose che amano pensare potrebbero piacere ai bambini. Ma non a tutti i bambini, solo a quelli intellettuali.
Storia di formazione in un orfanotrofio di ragazzi speciali, pieni di problemi e in alcuni casi di traumi pesantissimi che però sdrammatizzano con ironia e simpatia. C’è il dramma sullo sfondo, nel passato o negato, ci sono le scene peggiori fuori schermo e c’è una grande trama di redenzione e salvezza attraverso l’impegno sociale a favore dell’innocenza. Niente di ciò che può interessare davvero un bambino e tutto quello che ad un folto pubblico piace pensare che possa piacere ai bambini.
La Mia Vita da Zucchina è sulla carta l’intrattenimento intelligente, direttamente contrapposto a quello considerato più scemo dei cartoni animati commerciali. Eppure con tutta la carineria che trabocca da ogni fotogramma, questo film dimostra una povertà espressiva imbarazzante. Non solo il character design da poco, e gli scenari abbastanza poveri non sono mai usati con intelligenza o con quella scaltrezza filmica che consente di fare tanto con poco, ma anche la storia non ha mai quelle caratteristiche di arguzia, divertimento e capacità emotiva che sarebbero richieste. Addirittura è così goffa da mettere quel che deve dire direttamente in primo piano, senza avere la grazia che sarebbe richiesta visto l’argomento di lasciarlo trapelare raccontando altro. I maltrattamenti e la lotta per non vedere la propria infanzia rovinata è infatti la storia in sé, invece che qualcosa di più sottile da cogliersi all’interno della narrazione. Insomma, anche volendo far giocare questo film in un campionato a sé, cioè quello dell’animazione d’autore, lo stesso non è parente di Sylvain Chomet.
Rifiutando categoricamente il movimento, il ritmo e la furia, cioè le caratteristiche tipiche dell’animazione nipponica e americana, La Mia Vita da Zucchina non trova mai un valido sostituto. La dote più potente che i cartoni (in 2D, CG e stop motion) hanno dimostrato di saper maneggiare, ovvero quella di parlare un linguaggio visivo dotato di ritmi, tempi e possibilità uniche, il film di Claude Barras la rigetta a favore di un tono autunnale che non ha mai il coraggio di essere tale fino in fondo, sfociando nella ruffianeria più becera non appena può.
Stupisce solo fino ad un certo punto che ad adattare la storia di Gilles Paris ci sia Cecile Sciamma, autrice di Diamante Nero e Tomboy.
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