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29.5.17

Good Time (id., 2017)
di Ben Safdie e Joshua Safdie

CONCORSO
FESTIVAL DI CANNES
A partire dall’espediente di sceneggiatura più classico per un poliziesco (una rapina, una valigia con il malloppo da nascondere, un fratello da tirare fuori di galera), Good Time cerca di scavare via dal genere i suoi intrecci, di levare cioè ai thriller criminali tutta la parte effettiva di crimine, per lasciare solo una serie di eventi in sequenza, come se la vera storia fosse condannata a non partire mai da un narratore riluttante, lasciando solo peripezie criminose all’inseguimento di una via di uscita.

Dopo la rapina che arriva a pochi minuti dall’inizio del film, messa in piedi con grande goffagine da due fratelli (uno dei quali handicappato mentale), Good Time si concentra solo sul recupero, sul meccanismo base di preda e predatore. Il fratello scemo sarà catturato dalla polizia e l’altro dovrà pagare la cauzione oppure farlo evadere dall’ospedale in cui è rinchiuso a seguito delle ferite riportate nella cattura (indovinate cosa è costretto a scegliere).

C’è Robert Pattinson, finalmente in una parte centrata, in un ruolo buono che trasforma il volto pulito in faccia scavata dall’indigenza, al centro di una girandola di eventi così grotteschi da far ridere, così casuali e contrari a quel che accade nei film (dove di solito tutto è molto ordinato e logico), così frutto di continui errori da far pensare che dietro tutto ci sia l’intelligenza meschina dei Coen.
Eppure questo film dei fratelli Safdie ha tutto un altro stile, lavora sui neon e sulla musica elettronica come Drive ma è innamorato della macchina a spalla, dei primi piani stretti senza nessuna voglia di comporre geometricamente le inquadrature come Refn. Stessi elementi insomma ma mix diverso.

L’impressione finale è di aver assistito ad un film decostruito, in cui gli ingredienti sono tutti chiari e riconoscibili anche se privi di amalgama per volere del cuoco. Le medesime scene che conosciamo sono qui messe in una sequenza inedita solo modificando le scelte dei personaggi o facendoli sbagliare. Si ride un po’, si rimane molto in tensione e si viene soprattutto sorpresi dal modo in cui questo spiazzamento riesce a raggiungere l’esito finale di ogni poliziesco in maniera propria. Riesce cioè a mettere lo spettatore a contatto con l’evidenza di quanto la lotta per un domani migliore passi comunque per un piano ben eseguito, quanto necessiti di un lavoro metodico e una dedizione fuori dal comune.

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