L’espediente più trito in assoluto in materia di sequel, ovvero prendere l’istituzione al centro del primo film e distruggerla, porla sotto un violento attacco che la costringe ad una ricostruzione, è quella che regge il secondo film di Kingsman. Gli agenti segreti britannici nascosti in un negozio di sartoria da uomo inventati sui fumetti di Mark Millar e Dave Gibbons si mescolano con i gentlemen statunitensi, cioè i cowboy texani che al thè sostituiscono il whisky, all’ombrello il lazo, alla bombetta il cappello a tesa larga, ma hanno il medesimo grado di coincidenza tra costume tipico e armamentario.
Kingsman si sposta definitivamente e diventa una saga americana, cambia i protagonisti, ingloba una star (Channing Tatum) sostituisce il mentore (Jeff Bridges) e di fatto cambia tonalità. Se il primo film ribadiva e esplicitava il principio base di James Bond, cioè che le caratteristiche del gentleman inglese sono le medesime necessarie per essere un agente segreto, che lo stile di vita raffinato e cosmopolita è quello del vero uomo, risoluto e d’azione, questo lo allarga all’action all’americana, pompa ancora di più le componenti di presa in giro dei film di Bond (dal pugnale nella scarpa, alla macchina subacquea, fino al quartier generale in cinema alla montagna) e conferma il villain da fumetto. Su tutto però regna una scrittura così pessima da buttare al vento ciò che di buono il primo film aveva creato.
La principale vittima di questo cambio è Eggsy, lo sbandato di periferia che nel primo film (come in My Fair Lady) veniva educato al mondo dell’alta società e delle sparatorie, e che qui invece diventa un personaggio senza personalità, né davvero borgataro al tavolo dei reali, né realmente uomo raffinato adatto ad ogni situazione come era Colin Firth, è un ripulito nuovo ricco che sostituisce allo spasmodico desiderio di sesso una ben più stonata voglia di famiglia e stabilità nella sua storia d’amore con la principessa di Svezia (divertente come accenno nel primo film, assurda come trama nel secondo).
Impegnato su molti fronti (c’è anche la trama del ritorno di Colin Firth da una malattia mentale) Kingsman: Il Cerchio D’Oro è un pasticcio che perde l’anima vera del primo film e la sostituisce con una maschera, con la ripetizione delle scene più note ed eclatanti, con l’arrivo dei pezzi grossi di Hollywood a prendere le redini di tutto e con un fastidioso senso di spettacolo, uno che non passa mai per la vera meraviglia o per un’invenzione acuta, ma pretende di essere tale solo con l’accumulo e la quantità.
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