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23.2.18

The Disaster Artist (id., 2017)
di James Franco

The Disaster Artist è sostanzialmente un film insincero. E, cosa peggiore, è un film insincero che parla di cinema, cioè del mezzo con cui si esprime, risultando quindi anche interessato e autoreferenziale.

Che non sia sincero è subito chiaro dalle dichiarazioni esagerate di un buon numero di attori noti nella parte di se stessi che aprono il film. Raccontano in poche parole il fenomeno The Room, film del 2003 salito in poco alla ribalta come il più brutto di sempre (affermazione così paradossale da smentirsi da sola in poco) e diventato fenomeno di costume grazie ad un paradossale successo (non economico) venuto proprio per la sua bruttezza. Nella loro esaltazione e nel loro descrivere la parte più affascinante di quel film (non è chiaro come fu fatto, con quali capitali, né quanti anni avesse l’autore e attore o da dove venga davvero), si percepisce la medesima artificiosità che si ritroverà nel resto del film, il medesimo desiderio di salire sul carro di una moda.

E dire che quella di The Room sarebbe effettivamente una storia interessante. Prodotto, scritto, diretto e interpretato da Tommy Wiseau, nacque dalla collaborazione con l’amico Greg Sestero e dal desiderio di realizzare qualcosa che li affermasse come attori, nonostante non avessero nessuna cultura cinematografica. La lavorazione fu assurda perché al comando c’era una persona digiuna di cinema e con idee tra l’imbarazzante e il parodistico su come si venda un film o si reciti. Il risultato è un’aneddotica divertente per chi conosce la macchina (che comprende bene certe follie tecniche) e talmente esagerata da esserlo anche per chi non la conosce e apprezza la follia umana.

La lettura che ne fa James Franco (produttore, sceneggiatore e regista di questo film oltre che attore nella parte di Wiseau), viene dal libro che ha scritto Sestero ed è quella di un uomo misterioso, non appassionato di cinema, ma bisognoso di contatto umano e di essere accettato, che produce un film intero per farsi un amico e scopre che si sta in realtà facendo dei nemici (visto il disastro cui tutti capiscono di andare incontro). L’Ed Wood di Tim Burton era un esaltato del cinema, un regista pessimo ma dall’amore smodato per i film e a Burton non fregava nulla della cialtroneria, ne ammirava e invidiava davvero le difficoltà, lo spirito indomito e la dedizione (tanto da metterlo a confronto con Orson Welles e farlo uscire animato dai medesimi problemi). James Franco invece fa tutto il film per ridicolizzare Wiseau senza dire contemporaneamente “però”, mette le parrucche solo agli attori che fanno i personaggi del film e a fatica guarda con dignità quest’uomo di cui cavalca la disavventura e la fama.

Ma anche al di là della visione che il film ha di Wiseau, The Disaster Artist è scritto con grande povertà di idee, fa annunciare subito a Sestero la linea di fondo (“La differenza in Wiseau è che non gli importa che gli altri giudichino quel che fa”) mette due fratelli che si somigliano ad interpretare due sconosciuti e ripete continuamente se stesso preferendo l’aneddotica al racconto vero. Su tutto si avverte il forte desiderio di arrivare alla fine a mettere in scena una proiezione di The Room con il pubblico che ci interagisce (come è accaduto a lungo nei tour organizzati appositamente) per rappresentare il pubblico che poi vedrà The Disaster Artist, per mettersi dalla parte di chi ride di Wiseau affermando però di ridere con lui.

Il colpo finale sono i titoli di coda in cui vengono mostrate una a fianco all'altra le sequenze girate da Franco per imitare The Room e quelle del vero film per mostrare che erano effettivamente così brutte, con un risultato di ulteriore smacco per Wiseau e ulteriore vanto per Franco capace del calco perfetto (il video è affiancato ma l'audio è sovrapposto così che si noti che va perfettamente in sincrono).

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