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22.3.09

Giorni E Notti Nella Foresta (Aranyer Din Ratri, 1970)
di Satyajit Ray

I film di Satiyajit Ray ti mettono voglia di fare un film. Ogni volta che ne vedo uno mi chiedo perchè questo signore indiano così abile, intenso, tecnico ed intelligente non sia considerato a livello di un qualsiasi Chabrol (al quale sicuramente mangia in testa). I suoi sono film straordinari girati con negli occhi Renoir (fu assistente personale e regista di seconda unità per Il Fiume) e in testa la visione rivoluzionaria di cinema portata dalla Nouvelle Vague.

Giorni e Notti nella Foresta racconta di un gruppo di funzionari di città che decidono di chiudere con la civiltà e affrontare la vita panica delle campagne senza farsi domande. E' un film dove la trama è i suoi significati. Nella prima scena che li mostra in macchina inneggiare alle campagne e liberarsi dei simboli della vita civile c'è già tutto, il resto del film espanderà l'idea e aumenterà solo le domande non le affermazioni. Perchè la forza di Ray è proprio di essere lontano mille miglia dallo stupidissimo ribellismo anni '60 e invece vicino ad interrogativi che sono tali sul serio e non retoricamente.

I suoi funzionari si scontrano con la vita nelle regioni del Bengala portando con sè un certo razzismo e disprezzo di fondo, una mentalità cittadina e altisonante e così la dimensione panica che cercano non la troveranno mai davvero.
Ma sebbene sia sempre coinvolgente il modo in cui Ray affronta il contrasto tra la modernità e le tradizioni indiane la vera forza del film è il suo naturalismo e la declinazione "ambientale" che tale contrasto assume. Come in Narciso Nero è l'ambiente che lavora e "forza" i personaggi, risvegliando alcune idee e istinti (sebbene mai a sufficienza). E' l'ambiente che ha una forza non trascurabile su ogni uomo.

Ed è incredibile il modo in cui riprende tutto questo, con una sobrietà lacerata ogni tanto da alcune splendide sottolineature (lo schiaffo sognato e subito) e espedienti di divertimento filmico come le transizioni ad iride nouvellevaguiane, che sono davvero introvabili in tanto cinema più osannato.
Ah! Tanto per dire, Satyajit Ray fa anche le musiche dei suoi film.

17 commenti:

Anonimo ha detto...

credo che a livello di fortuna critica, satyajit ray sia in effetti considerato decine di spanne sopra a chabrol :) magari non è conosciutissimo presso il grande pubblico, ma si tratta pur sempre di cinema indiano in b/n


Anonimo ha detto...

Non ho visto niente di suo ma ricordo che diversi anni fa se ne parlava molto, sempre in ambiti elitari in effetti


gparker ha detto...

Jack: ma insomma... io non sento mai monografie, libri o retrospettive su di lui. Mentre su chabrol si.

Alp: senza stare a scomodare mostri sacri e senza fare confronti ingiusti io non ho mai visto nessuno avvicinarsi tanto allo stile e al modo di procedere del Rossellini di Stromboli e di Renoir quanto lui. Eppure ha anche la forza di staccarsene in certi momenti e di prenderne le distanze come facevano i francesi degli anni '60.


Anonimo ha detto...

...mi ricorda la trama di Giro di vento di De Carlo...che abbia preso ispirazione?


gparker ha detto...

non ho letto il libro che dici ma la trama di un gruppo di persone che passa dalla città (o comunque luogo più o meno civilizzato) alla campagna o comunque ad un posto molto più a contatto con la natura e l'effetto che questo ha su di loro è una cosa abbastanza frequente. E' capitato (al cinema almeno) molte volte anche prima di questo. Tipo Narciso Nero o anche Viaggio In Italia.
Non so poi se romantici e preromantici abbiano fatto cose simili.


Anonimo ha detto...

Ecco vedi, che fosse un tema frequente non lo sapevo.
Per De Carlo comunque ogni pretesto è buono per disprezzare la città e i suoi agi, per cui una trama del genere va perfettamente a nozze con la sua poetica...sarebbe interessante chiedere a lui se per caso questo film abbia influito nelle sue scelte...certo è che dovrei vederlo per capire se le assonanze che ho solo intuito sono in effetti reali.

p.s. a mio parere Giro di vento non è uno dei migliori libri di De Carlo, ce ne sono molti altri che ho adorato...nel caso volessi leggere qualcosa quest'estate sotto l'ombrellone posso consigliarti :)


gparker ha detto...

grazie ma non sono un grande amante dei romanzi..... :)

Ad ogni modo quello che mi piace dei film che ho elencato e di altri che affrontano più o meno questo tema è che non c'è la diatriba città/campagna intesa come meglio meglio/peggio o comunque in gara ma semplicemente il concetto che a prescindere dalle caratteristiche della città esiste qualcosa di particolare che lega gli esseri umani a certi luoghi, o meglio che certi luoghi hanno influenze particolari. Specialmente su chi non è abituato a viverli.
Il centro non è la società (come sarebbe se la città fosse in gara con la campagna) ma l'uomo.
In questo film ad un certo punto chiedono ad uno dei personaggi "Chi siete?" e lui che come i suoi compagni è ormai da tempo che si aggira nelle foreste e nelle pianure delle campagne risponde "esseri umani!".
Sono storie che non pretendono di essere universali o dare principi universali ma sono estremamente particolari. La storia di una persona che in quel luogo proprio per il rapporto che si stringe con l'ambiente scopre una parte di sè che credeva sopita e che lo costringe a rivedere parte della sua vita.


Anonimo ha detto...

Bella questa lettura. Se è vero, come è, che l'ambiente condiziona esaltando alcune o celando altre peculiarità dell'essere umano, viene da pensare che gli stessi protagonisti del film rientrando in città perderebbero a lungo andare lo spunto trovato in campagna per rivedere le proprie vite...il regista cosa fa? opta per far concludere il film con la scelta dei protagonisti di restare in campagna dove hanno potuto ritrovare se stessi?


gparker ha detto...

quasi nessuna di queste storie mostra i protagonisti al ritorno in città. non credo sia proprio di interesse, la questione è l'uomo e l'ambiente e non l'uomo in assoluto quindi "che cosa gli accadrà". ad ogni modo è ragionevole ipotizzare che non cambi assolutamente nulla, poichè in città non ci sono quegli stimoli ma altri di altro tipo.


Anonimo ha detto...

Indubbiamente mi hai incuriosito molto


Anonimo ha detto...

...quindi secondo me proprio per questo implicitamente si dimostra che il "meglio" sta nel restare in campagna, perchè un ritorno farebbe crollare l'idea degli effetti dell'interazione uomo/ambiente su cui si fonda il film (o il romanzo o la rappresentazione teatrale...non mi riferisco a questo in particolare perchè non l'ho visto, ma al tema in genere sotto qualunque forma esso venga proposto)...


gparker ha detto...

iro: si ma non è questione che la campagna è migliore. E' diversa. E se sei abituato a qualcosa e sviluppi un equilibrio personale rispetto a quel qualcosa, un equilibrio che dice quello che sei e sul quale fondi la tua vita e le tue interazioni, quando cambi una cosa fondamentale come l'ambiente e questo nuovo è così diverso e condizionante non puoi non avere degli sconvolgimenti. Ma gli sconvolgimenti di un giorno, una settimana o un mese non ti cambiano la vita.

alp: http://www.youtube.com/watch?v=lV8clWi_Vf0


Thomas Morton ha detto...

Satyajit Ray ha vinto un Oscar per la carriera, Chabrol no :-)

È indubbiamente considerato, fra chi se ne intende, uno dei massimi vertici dell'arte cinematografica, al livello di un Fellini o un Bunuel, ma non si può pretendere che sia anche famosissimo.

P.S. Questo non l'ho visto, ma se vuoi vedere qualcosa di straordinario ti consiglio "Agantuk", il suo ultimo film.


gparker ha detto...

più che altro io ne faccio una questione di notorietà. In quanti non hanno mai visto un film di Kurosawa ma conoscono questo nome, o non hanno mai visto un film di truffaut e ne conoscono il nome?
Assurdo che il più grande regista della storia dell'India non sia anche un nome noto.


Christian ha detto...

Ho visto qualcosa di suo (come il bellissimo "La sala della musica") grazie a Ghezzi, che spesso mandava in onda anche i film di Guru Dutt, altro cineasta indiano che ha fatto belle cose negli anni '50 ("Fiori di carta" è memorabile).

E a proposito di Kurosawa, visto che lo hai citato, l'Imperatore amava molto il cinema di Ray. Una volta disse: "To have not seen the films of Ray is to have lived in the world without ever having seen the moon and the sun."
E dopo la sua morte, si consolò con Kiarostami: "When Satyajit Ray passed on, I was very depressed. But after seeing Kiarostami's films, I thanked God for giving us just the right person to take his place."


gparker ha detto...

La Sala Della Musica non l'ho visto come nemmeno il Mondo di Apu e il primo, che pare siano i migliori. E avendo visto quello che ho visto non oso pensare a come siano questi...

Non è che concordi moltissimo con Kurosawa su Kiarostami. Mi piace abbastanza ma non lo trovo così fondamentale. Il pur bello Dov'è La Casa Del Mio Amico? non arriva alle vette di Ray.


Thomas Morton ha detto...

Concordo abbastanza. Una volta esaurita la novità del cinema iraniano quei film risultano un po' di maniera.


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