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19.3.18

Tomb Raider (id., 2018)
di Roar Uthaug

Rivista, corretta e completamente “ridisegnata” con un casting più accorto e vicino alla sensibilità contemporanea riguardo la rappresentazione della donna, la Lara Croft che aveva esordito nel 2013 nei videogiochi ora arriva anche al cinema. E rispetto all’omonimo videogame il medesimo spunto di trama (la regina Himiko, sepolta sull’isola piena di insidie su cui naufragare e in cui sopravvivere per diventare avventuriera) diventa una ricerca di un padre e la genesi di un mondo, che al cinema significa un possibile franchise. Alla fine infatti a nascere non sarà solo Lara (come in ogni origin story guadagnerà il suo “costume” classico anche se tali sono i cambiamenti che treccia e doppia pistola appaiono un po’ fuori tono) ma anche una sua possibile nemesi su cui il film insiste moltissimo, la grande corporation del male in stile Spectre.

Tomb Raider (il film) prevede alcuni oggetti tipici della saga, un buon numero di enigmi con ingranaggi e diverse scalate, ma al di là di quello il suo modello è tutt’altro, è Indiana Jones e L’Ultima Crociata da cui mutua quasi tutti i suoi elementi migliori (dal taccuino con gli schizzi al rivale nella ricerca che mira proprio a quel taccuino, fino alla difficile figura paterna e alla grotta piena di prove mortali da superare). La cosa sarebbe anche accettabile, se non proprio auspicabile, se solo Roar Uthaug da Spielberg mutuasse anche la passione per il genere e la voglia di divertirsi con l’avventura.

Invece Tomb Raider è condotto con correttezza ma senza la minima passione e finisce per assomigliare ad un action movie come tanti altri. C’è un abuso nell’uso dei clichè sia nei personaggi che nelle situazioni, nelle battute e nelle soluzioni che non viene da una forte fiducia in quei luoghi comuni (come avviene ad esempio in Tarantino, che i clichè li esalta) ma più da una sufficienza fastidiosa, quella per la quale anche se una scelta è banale (e troppe lo sono) alla fine andrà bene lo stesso. Tanto è solo azione. Ogni svolta della trama, ogni cambiamento di un personaggio e ogni decisione è trascurata e sbrigata in fretta senza che venga caricata o ci venga annunciata per tempo, senza dare al pubblico il tempo di maturarla e stupirsene o averla davvero compresa.

Così Tomb Raider dilapida un vero patrimonio di scene e idee che invece sembrano molto ben concepite anche quando hanno il freno a mano tirato. Soprattutto spreca la dedizione di Alicia Vikander, di certo la parte migliore del film e l'unico elemento che lo salva. Al contrario di Angelina Jolie, che pare sempre attraversare i film come non gli interessasse minimamente quel che accade e stesse con la testa in un altro luogo di un altro pianeta, Alicia Vikander si impegna, crede al personaggio molto più del regista e riesce in certi punti a dargli un taglio originale, oscillando bene tra l’ordinarietà di una ragazza che non ha mai preso parte ad un’avventura e l’istinto dell’action heroin che sta nascendo. Sta in campo in ogni scena e grazie a lei il film ha una scorrevolezza piacevole. Dura quando serve, fragile senza sfociare nello smielato, da attrice vera ha creato una sua Lara che unisce i contrasti in maniera credibile e ci appare più complessa del solito. Di fatto fa più lei per la comprensione e la compassione con la trama di quanto non faccia il film.

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