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19.7.18

Bergman 100: La Vita, I Segreti, Il Genio (Bergman: A Year In A Life, 2018)
di Jane Magnusson

Viviamo la stagione più fertile in termini di produzione di cinema sul cinema e Bergman 100: La Vita, I Segreti, Il Genio di Jane Magnusson, già proiettato a Cannes, è la più imponente operazione cinefila intorno al centenario della nascita del regista svedese. Edito da noi in DVD e on demand da BIM (già disponibile) verrà anche trasmesso da Sky Arte in prima serata il 14 Luglio, il giorno esatto del centenario. A suo modo imperdibile per ogni appassionato, è documentato, molto esaustivo e ben realizzato anche se il punto di vista e la profondità lasciano davvero a desiderare.

Il documentario ha l’ambizione di raccontare l’uomo e il professionista, di tracciare un segno su tutta la sua vita professionale di Bergman ruotando intorno al 1957, anno in cui il regista e sceneggiatore di cinema, tv e teatro ha prodotto opere teatrali memorabili (tra cui il Peer Gynt da 5 ore) e alcuni dei suoi film più noti (Il Settimo Sigillo, Il Posto Delle Fragole) più una riduzione radiofonica. Tutto in un anno, con una scansione, una rapidità e un’efficacia impressionanti.
La narrazione di quello straordinario 1957 è l’ossatura principale ma da lì il film fugge sia avanti che indietro nel tempo per chiarire aspetti della vita privata e professionale, trionfi e aneddoti clamorosi.

L’interesse maggiore sembra essere quello relativo alla personalità di Bergman, al suo essere duro, schivo e riservato, manipolatore, arrogante e bugiardo, a fronte poi di risultati incredibili. Ma troppo spesso questo documentario ripete e ribadisce la grandezza del suo oggetto del desiderio senza raccontarla, limitandosi ad affermarla. Continuamente. In un tripudio di aggettivi magnificanti Jane Magnusson si dimostra da subito vittima del mito di Bergman. Sarebbe potuto essere interessante analizzare questo mito, spiegare cosa abbia significato, come abbia inciso nel Novecento svedese (alcuni spezzoni da trasmissioni televisive fanno solo immaginare la potenza di quella figura in patria), ma non è quello che fa questo documentario che dal punto di vista cinefilo somiglia più ad un tifoso o ad un fan che ad un appassionato.

Lieto di fare di Bergman un monumento più di quanto non lo sia già, invece di cercare di smontarlo per capirlo o almeno dire qualcosa di inedito, Bergman 100 si incunea nella vita privata e nei racconti, mette in relazione il 1957 con tutto il cinema che verrà (derubricando invece con colpa i film magnifici fatti fino a quel momento perché non aderenti al canone e alle caratteristiche più noto del regista). Per Jane Magnusson il 1957 è l’anno in cui Ingmar Bergman diventa quello che conosciamo, da quel momento creerà i suoi film più noti e metterà a fuoco le sue ossessioni più celebri, a partire dall’idea di raccontare un po’ di sé in ogni film.

Certo, deve ancora essere girato il documentario sul cinema sconsigliabile, da evitare, inutile, noioso o anche solo superfluo, e nonostante il suo punto di vista un po’ acerbo Bergman 100, nelle sue due ore, scorre piacevolmente, rievoca momenti interessanti e offre una visione delle turbe del grande regista, dei suoi vanti e delle sue piccolezze a suo modo accattivante. Ma tali e tanti sono gli spunti non colti da lasciare l’amaro in bocca. Impossibile non chiedersi ad esempio come mai in un film che si basa sull’anno di massima produttività di Bergman non si parli mai di come sia stato possibile fare film e spettacoli teatrali così in fretta con quella qualità, quali tecniche adottasse, come riuscisse ad ottenere il meglio da tutti in poco, quando creasse ecc. ecc.

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