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30.8.18

Mamma Mia! 2 (id., 2018)
di Ol Parker

È onesto Mamma Mia 2, perché fin da subito accetta la sua natura di cinema-cartolina, attaccando con la più tipica veduta da cartolina che in un movimento all’indietro e con una transizione digitale effettivamente diventa una cartolina tenuta in mano da uno dei personaggi. Ci troviamo quindi letteralmente in una cartolina, ma l’ammissione (al netto dell’onestà dimostrata) non cambia molto della stucchevole proposta di uno dei sequel meno ispirati di quest’epoca di sequel, in cui non appena smettono le canzoni degli ABBA prontamente entrano i mandolini a colmare silenzi e una trama inesistente.

Mamma Mia!, il primo, già faceva bella mostra di un’idea di musical vecchia di diversi decenni, la stessa completamente ribaltata da Baz Luhrmann che oggi suona più vetusta che mai, e quanto peggio Mamma Mia 2 non ha nemmeno l’alibi del vintage o dell’ironia a fare da foglia di fico. Questo secondo film preferisce giocare con il tempo mostrando la figlia e la madre in due momenti diversi, lottare per affermare il proprio diritto all’amore e alla permanenza sull’isola (per gli altri personaggi la trama è solo “devono arrivare sull’isola”). Benché il gioco dei flashback a tratti funzioni pure, l’unione che il film fa di diversi numeri musicali (che poi è il punto di tutta la questione) è sempre più pretestuosa e poco fantasiosa.

L’obiettivo è chiacchierare poco, cantare molto e promuovere un’idea generica di benessere e idillio da pubblicità. Non a caso Andy Garcia sembra essere appena uscito dalla pubblicità italiana dell’amaro che ha girato, vestito e acchittato esattamente nello stesso modo come se fosse un latifondista dei primi del novecento. Ma sono dettagli in fondo di fronte a personaggi macchietta, così ridotti a maschere che anche nei flashback (in cui sono interpretati da attori giovani) possiamo riconoscere chi sono da pochi tratti, da come si vestono o dagli oggetti che li caratterizzano. Non c’è niente che gli dia quel tipo di vivace umanità che permea i musical e, unito alle canzoni, consente ad un racconto di arricchirsi dal fatto di essere cantato.

A battere l’ultimo chiodo sulla bara di questo stucchevolissimo melange di musiche c’è poi l’assenza di Meryl Streep, il motore del film originale qui rievocata in un tripudio di immagini e quadretti kitsch presi da frame del primo film. Il massimo del minimo, contornato da uno tsunami di dialoghi che oscillano tra l’infantile (“Se pensi troppo ti intristici, qui sull’isola le cose vanno così”) e il pienamente contraddittorio (“Non credo sia semplice, nulla lo è!” viene detto ad un certo punto e solo qualche minuto dopo qualcun altro con la stessa convinzione sentenzierà “Alla fine se vai all’essenza tutto è semplice”).

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