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30.8.18

Ride (2018)
di Jacopo Rondinelli

Il più grande trionfo di Ride è quello di essere esattamente quello che era stato annunciato. E non solo all’interno del suo minutaggio. Lo è a partire dai poster, dal casting, dalle location fino all’uso che viene fatto della postproduzione, un film di rapidissimo consumo confezionato con grande abilità, che sfrutta un presupposto stringente: tutta la storia dei due rider che partecipano ad una corsa clandestina dal premio milionario ma dai risvolti quasi subito sanguinari, la vediamo attraverso le immagini riprese da videocamerine GoPro (quelle piccole ma ad alta risoluzione con grandangolo usate soprattutto per le riprese sportive di nuova generazione, grazie alla facilità di posizionamente su caschi o pettorine). Come in un film found footage quindi sappiamo cosa ha filmato ciò che stiamo vedendo, alle volte sono i droni che circondano i protagonisti altre sono le camere montate su di loro, altre ancora dei video di sicurezza.

Non era facile consegnare davvero un film simile in un paese che non ne fa. Detto in altre parole: non era facile creare un film da industria del cinema in un paese che non ha un’industria del cinema. Ride invece è vera serie B odierna, senza fronzoli e senza ambizioni da serie A, è cioè un film che è figlio di diversi immaginari (quello dei video sportivi come detto, quello del cinema found footage, quello dei videogiochi da cui attinge per tantissime dinamiche e grafiche ecc. ecc.) ma padre di nessuno, non ha intenzione di creare una dimensione visiva nuova ma di sfruttarne altre già esistenti per puntare dritto alle sensazioni base (paura, eccitazione, tensione…). Non vuole avere diversi livelli di lettura ma fondare se stesso sulla propria azione e sull’obiettivo dei personaggi, qualsiasi altro tipo di significato sta negli occhi degli spettatori, ma il buono è che può anche non starci senza che l’operazione perda di senso (che invece è il problema di tantissimo cinema italiano inutilmente ambizioso).

Pienamente all’altezza dello standard internazionale del proprio genere, Ride ha pregi e difetti dei film suoi simili. È molto focalizzato sull’azione in maniera corretta, utilizza stuntmen veri e dedica alle loro scene la medesima attenzione data a quelle con gli attori, per non sbagliarle ed essere sempre credibile, tuttavia per dare senso all’avventura si appoggia ad una trama così convenzionale che il tasso di coinvoglimento è bassissimo (una storia di debiti e un’altra di famiglia da cui tornare). È insomma un film per realizzare il quale è evidente che occorrano competenze tanto da regista quanto da videomaker. Che non è poco!

Con un finale perfetto per lo stile found footage ma un sottofinale in cui l’azione viene meno (dovrebbe essere epica e non lo è, dovrebbe essere comprensibile e lo è poco), Ride chiude forse un po’ sottotono rispetto alle premesse, ma comunque confermando il proprio ossimoro: essere un film medio che risulta eccezionale e sorprendente all’interno di una (non)industria del cinema come la nostra, che per decenni si è dimostrata incapace di produrne e ha di fatto dimenticato come fare.

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