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6.9.18

Peterloo (id., 2018)
di Mike Leigh

Questa volta Mike Leigh non ha faticato molto sulla sceneggiatura, Peterloo è il resoconto di un clamoroso caso di repressione di una manifestazione pacifica ad inizio ‘800 a Manchester, messo in scena crogiolandosi in una divisiona manichea del mondo che soddisfi l’animo del regista e del suo pubblico di riferimento.

I fatti dicono che A S. Peter’s Field una manifestazione annunciata e organizzata per un comizio in favore della riforma della rappresentanza parlamentare (all’epoca non c’era il suffragio universale e i poveri facevano le spese delle decisioni convenienti per i ricchi) fu repressa sanguinosamente dalla guardia reale anche se i manifestanti era pacifici. Fu una debacle tale e così vicina alla vittoria di Waterloo che i giornali la chiamarono Peterloo. Fomentati dalle classi abbienti che non volevano che la folla seguisse il “pessimo esempio” della rivoluzione francese, guardie locali e nazionali attaccarono, uccisero e ferirono la maggior parte dei manifestanti inermi a comizio appena iniziato.

Nella visione di Peterloo (il film) c’è tutta la carica parziale che unisce l’ambizione da resoconto storico (date, personaggi, nomi, cognomi e delicati affreschi dalla luce chiara serena come una fiction RAI) con la voglia di saldare i conti col passato e compiacere il pubblico. Mike Leigh, che altrove è fenomenale regista capace di mettere in crisi lo spettatore, spiazzarlo sulle sue convinzioni e non essere mai banale, qui fa una scelta di banalità piena. Vediamo i cattivoni montati uno dopo l’altro fare gli spietati con il buon popolo e subito dopo riunirsi come il summit del male, attorno ad un tavolino. La loro principale attività è parlar male della plebe e tramare. Mentre i manifestanti vestiti di bianco, ridono e portano bambini paffuti o si scambiano generosamente del pane.

Peterloo è condotto tutto quanto con un tono fastidiosamente didascalico da dipartimento scuola educazione in cui leggi e passaggi che per i personaggi dovrebbero essere scontati sono a noi spiegati chiaramente dalle loro parole, come se non lo sapessero e dovessero dirselo a vicenda. Tutto è mirato ad insegnare, convincere, spiegare “come stanno davvero le cose nel mondo” con una tale fastidiosa parzialità che anche chi la pensa come Leigh dovrebbe infastidirsi per questo trattamento.

Anche l’idea non male di rappresentare gli ideali nel momento in cui splendono di più, quando c’è l’impressione che davvero si potrà cambiare qualcosa e l’etica, o mostrare la rettitudine e la coerenza come l’unica arma possibile, si perdono in un mare di ruffianerie e scappellotti ai ricchi, sbeffeggiati e ritratti come clown scemi, incapaci di qualsiasi decisione sensata.

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