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5.9.18

Frères Ennemis (id., 2018)
di David Oelhoeffen

Solo in un poliziesco francese un criminale colpevole e un poliziotto non corrotto possono litigare fino a menarsi perché il primo accusa il secondo di non aiutarlo abbastanza (e il secondo si sente effettivamente in colpa). Solo in un polar le relazioni, la potenza dei retaggi, dei legami e del desiderio di non dimenticare il proprio passato può essere così forte da superare le distinzioni di legge e fuorilegge, cioè la scelta di campo di chi ha mollato tutto per entrare nella polizia. E Frères Ennemis lo racconta con la qualità che attribuiamo al cinema che non inventa niente ma esegue alla perfezione, trionfando nel rispetto di tutte le regole e nella gioia di usarle per ingigantire piccoli aspetti dell’animo umano.

Tre amici sono divisi dalla legge. Uno è stato fatto fuori per un affare di droga, l’altro era con lui, è sopravvissuto ed è cercato sia da polizia che dai criminali che non sono riusciti a farlo fuori la prima volta, il terzo è un poliziotto che non a caso indaga questa storia e vuole salvare l’amico da tutti senza farsi scoprire. Storia di sopravvivenza metropolitana nella periferia dei palazzoni difficilissima da recitare, in cui il mood è uno solo (duro, arrabbiato, disperato) e va declinato di continuo una volta per i dialoghi con i bambini, poi per le minacce ai boss, i confronti con la polizia o ancora gli sguardi distrutti di dolore. Si tratta di un’impresa che Reda Kateb e Matthias Schoenaerts conducono in porto con una sicurezza che fa sembrare tutto facile e scorrevole.

Intanto Oelhoffen, che del film è regista e sceneggiatore, grazie a loro conduce con camera a mano un viaggio nell’animo maschile tra spari e cazzotti. La trama procede ad ampie falcate nelle convenzioni ma così bene da diventare l’esempio di come il cinema non abbia bisogno per forza di rompere le regole ma possa invece rispettarle tutte e trionfare, usando proprio quella gabbia e quei paletti così riconoscibili e noti per far emergere tutti i sentimenti che hanno a che fare con l’essere uomini, ingranditi e resi giganteschi dal rischio di morte e dalla posta altissima in un ambiente senza pietà.

Ci saranno paternità commoventi, fratellanze anche non di sangue, senso d’appartenenza, etica personale, onore, rispetto reciproco e ambizione di sopraffazione a scontrarsi senza trovare nessuna sintesi ma solo delusioni (il genere del resto quello è, se le principesse inseguono un matrimonio e la felicità, i piccoli criminali fuggono la morte e la perdita di tutto). E alla fine il pregio vero di questo melodramma mascherato così bene che non si riconosce più dietro tutte quelle pistole, è di non menzionare un contesto che sembra condizionare le vite di tutti, uno in cui diventare un poliziotto è addirittura una scelta ribelle che fa guadagnare il disprezzo della famiglia e gli insulti degli amici ma in cui sembra che i sentimenti siano più autentici che altrove.

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