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26.2.19

Domani è un altro giorno (2019)
di Simone Spada

Due uomini e un cane. Uno dei due, lo scopriamo immediatamente, sta morendo. Ha un cancro terminale e non intende curarsi. L’amico di una vita lo viene a trovare dal Canada dove vive ormai da tempo, insieme cercano un nuovo padrone per il cane di lui. È la trama di Truman, film di Cesc Gay di 4 anni fa, in cui Ricardo Darin era l’amico morente e Javier Camara quello che lo va a trovare. La versione italiana, con scelta molto centrata, mette nelle due parti Marco Giallini e Valerio Mastandrea, puntando su una chimica molto forte che già esiste tra i due, ma soprattutto sulle qualità che esprimono nella recitazione: la potenza carnefice di Giallini e quella remissiva di Mastandrea.

Giallini, al pari di Ricardo Darin, non è un attore mimetico, non diventa i suoi personaggi ma anzi riesce ad interpretarli rimanendo se stesso. Giallini è sempre Giallini, eppure è di volta in volta un personaggio diverso, un poliziotto o un delinquente, un padre amorevole o un donnaiolo come in questo caso. E come Darin è sempre credibile, sempre concreto. Mastandrea pure recita con la medesima tecnica, anche se la intende con un po’ più di morbidezza, non disdegna una certa mimesi fisica anche se poi cerca sempre di fare affidamento alla propria parlata, alla propria cadenza e alle proprie movenze per creare un personaggio. Qui assume un taglio di capelli ingiusto che lo aiuta ad enfatizzare la sua capacità di recitare di rimessa, più in risposta che altro.

Lo spettacolo è tutto qui: un testo a prova di bomba e due attori sui quali è stato ben ritagliato, capaci di sviluppare una grandissima chimica. E benché Domani È Un Altro Giorno non raggiunga quella misura, quella distanza e quell’understatement incredibile dell’originale (tanto più clamoroso quanto più il soggetto e ciò che avviene spingerebbe verso il melodramma), benché a totale sorpresa Marco Giallini, che è un attore indiscutibile, si riveli molto in difficoltà nelle scene di pianto, lo stesso questa storia di amicizia maschile si dimostra fortissima e capace di funzionare anche se, come in questo caso, se ne accentua la componente di commedia amara.

Certo, il tutto non è esente da una piccola componente di ricatto emotivo, sottolineata in questa versione italiana da una musica non sciatta (come spesso capita ai nostri film) ma lo stesso un po’ fuori luogo, molto melliflua e non di basso profilo come il resto della messa in scena. Tuttavia il solito Giallini show, in cui è lui a prendere continuamente il proscenio, è contrastato con un’efficacia esponenziale dalla maniera in cui Mastandrea anima l’imbarazzo del suo personaggio, un senso di impotenza e distanza misto a jet lag che lo tengono fuori dai giochi per buona parte della storia, esterno alle scene che vive ma vicino al suo amico. In questo subire e rimettere, in questo mettersi in luce e agire da dietro, c’è un meccanismo umanissimo che lavora benissimo sul piccolo ricatto emotivo della trama.

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