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31.3.19

Highwaymen (id., 2019)
di John Lee Hancock

Si può essere contro la modernità e la tecnologia anche nel 1934.
È il caso dei due ex ranger del Texas sulle tracce di Bonnie e Clyde parallelamente all’FBI. I due sono impiegati in via eccezionale e non visti di buon occhio da nessuno, uomini spicci, d’altri tempi, in là con gli anni ma ancora dotati di fiuto e solidamente ancorati a procedure vecchio stampo con le quali stanano i due criminali prima e meglio dei federali. È una storia vera e loro sono due persone realmente esistite, i due che alla fine hanno preso i criminali. Il film di John Lee Hancock li racconta assieme alla loro caccia e lo fa (come fosse un film italiano degli anni ‘40) per mostrare in realtà il mondo in cui si muovono.

Hancock sa bene che esiste un altro film molto famoso su Bonnie e Clyde (Gangster Story) e che sia per quel successo che per il clima attuale il pubblico sta dalla parte di Bonnie e Clyde. Lo sa e lavora molto per riportarlo l’altra parte. I due ranger non comprendono assolutamente la coppia di criminali e il film fa di tutto per mostrare come il mondo intorno a loro la pensi diversamente e quanto sia negativo quell’impatto e quell’interesse che effettivamente scatenarono nel pubblico. Ci sarà anche un cazzotto, il momento più controverso in assoluto, dato ad un pover’uomo reo di aver soltanto espresso il suo appoggio ai criminali.

“Tutti siamo affamati, ma solo alcuni rubano”, nell’America degli anni ‘30, depressa e in difficoltà, la coppia è un mito ed è principalmente contro questa mitologia che si scontrano i ranger, anche perché intelligentemente il film non mostra mai Bonnie e Clyde in volto, sono una presenza fantasmatica, inafferrabile, viva nei racconti e nell’isteria collettiva o ancora nelle scritte dipinte sui raccoglitori d’acqua. Inafferrabili e quindi mitologici.
Highwaymen è un film con un forte intento morale e in questo è perfetto l’uso di Kevin Costner, portatore sano di integerrima giustizia, mentre un po’ meno lo è quello di Woody Harrelson, attore intimamente ambiguo. Ma nel complesso fatica tantissimo a non suonare retorico.

Purtroppo la parte di detection è molto sbrigativa, i ranger capiscono tutto rapidamente e hanno intuizioni subitanee, colpi di genio più che di tecnica. Highwaymen non si concentra troppo sul meccanismo di scoperta ma preferisce sottolineare la morte che Bonnie e Clyde si portano dietro e come lo stesso siano venerati dal pubblico. C’è un evidente parallelo con il culto della fama e delle celebrità moderno che rende ancora più paternale tutto il film.
Il culmine chiaramente sarà la scena finale, il controcampo di quella famosissima girata da Arthur Penn. Uguale negli esiti ma molto diversa nella gentilezza delle forze dell’ordine, nel loro rispetto e nella loro morale, è forse il momento più stridente di un film tutto sommato equilibrato che tuttavia sceglie di sacrificare un po’ di fascino ruvido per una lezioncina in più.

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