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26.4.19

Avengers: Endgame (id., 2019)
di Anthony e Joe Russo

Alla fine sarà una delle battute più memorabili dell’origine dell’universo cinematografico Marvel a sancire la conclusione del quest, cioè la fine dell’avventura. Con le parole con le quali 11 anni questo universo fu lanciato, così chiude il suo primo ciclo. È l’apice di Avengers: Endgame film che come previsto si nutre dei film precedenti dell’universo Marvel, non solo per tirarne le fila ma anche per usarne le storie per la propria trama.

In questa grande chiusura c’è molto di prevedibile ma anche un buona dose di sorprese, a tanti livelli diversi.
Sorprende innanzitutto che la saga del MCU scelga di non seguire la struttura fondata da Il Signore Degli Anelli (il padre del concetto di franchise moderno), canonizzata da Harry Potter e seguita da tutte le piccole grandi saghe americane: nonostante gli eventi del film precedente, avvicinandosi al suo finale il tono non si fa più dark, più scuro, più disperato, anzi! Endgame contraddice la regola per la quale un franchise deve diventare adulto nel suo finale facendosi più cupo e alzando la posta dei propri temi, mostrandosi vivace, una commedia non priva di macchiette, in cui per tutta la prima ora non c’è azione ma tantissimo dialogo, pura scrittura. È una grande scelta che spiazza e dà al film non il passo della chiusura forsennata ma quello della grande epopea. Dopo la prima ora inizia un po’ di azione, più che altro di suspense, e solo nell’ultimo terzo si marcerà ai ritmi che ci si può aspettare con le proporzioni giganti attese (e finalmente con un ruolo protagonista dello score). Di nuovo: non è un peso, anzi. Endgame ha il coraggio di esplorare, anche se limitarsi a concludere in continuità con il resto sarebbe stato più che sufficiente.

Quel che invece il film conferma è che nel mondo Marvel, in cui i sentimenti sono quasi sempre spiegati e raccontati, le parti più oneste e meno didascaliche passano per gli oggetti. È una differenza non da poco con il resto del cinema mainstream.
Infinity War era l’apoteosi del parlarsi tramite l’attrezzatura, aiutarsi, modificarla e passarsela per dimostrare stima, rispetto e affezione, qui il momento più sentimentale in assoluto (prima del gran finale) sarà affidato alla schermata con fotina di uno smartphone. Nel mondo degli eroi continuano ad essere gli strumenti, la tecnologia o i gadget i veri conduttori dell’emotività, le parole sono solo dei simulacri (che è poi la dimostrazione che al netto di tutto rimangono racconti che seguono le regole del cinema maschile).

Nonostante Endgame sia fisiologicamente più emozionante di Infinity War ma anche un pelo meno appassionante (perché la costruzione di una storia è sempre più accattivante della sua risoluzione, la quale inevitabilmente marcia sui sentimenti più scontati), conferma la perfezione formale e tutta la maestria artigianale costruita in questi anni dalla Marvel. Il bilanciamento dei toni, la fusione tra falso e vero, i ringiovanimenti digitali, gli scenari galattici e quelli molto intimi, la radice “americana” (ribadita nell’ultima inquadratura) e le ambizioni planetarie, c’è tutto. Cinema di produzione pazzesco che lavora benissimo con gli attori e come Ant-Man passa bene dal macro al micro (ma ci sono arrivati, nei primi film non gli riusciva perfettamente).

Basta vedere Thor, personaggio diventato con gli anni il più ironico per assecondare la scoperta della vena di commedia del suo interprete e qui apertamente comico, addirittura slapstick. Ora è innegabile: la Marvel al cinema non ha cambiato i suoi personaggi solo in funzione delle trame ma in base alle caratteristiche di chi li ha interpretati (e non viceversa, scegliendo chi poteva somigliargli). A partire da Iron Man per finire con il cambio di Thor in corsa, è stato un modo di mettere al centro gli attori, uno che qui paga più che mai e che non a caso è celebrato nei titoli di coda con le firme degli attori (!). A partire da Robert Downey Jr., il più in palla, il più impegnato, il più caricato del peso drammaturgico già nella prima scena, tutto il cast lavora sulla recitazione meglio e con più spazio che in passato. L’aumento di dialogo e diminuzione dell’azione glielo consente, ma è proprio il film che glielo chiede.
In una saga in cui l’azione sembra non fermarsi mai ed è stata quasi sempre appassionante, il finale si ferma molto e spesso, trovando l’ultima cosa che mancava al MCU: la capacità di scegliere di non ricorrere all’azione.

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