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1.5.19

Stanlio & Ollio (Stan & Ollie, 2019)
di Jon S. Baird

C’è una forzatura evidente e molto fasulla all’interno di Stanlio & Ollio per la quale Stan Laurel e Oliver Hardy nella loro vita si comportano e subiscono accidenti e incidenti simili a quelli che inventavano e mettevano in scena nelle loro gag. È una forzatura tipica del biografico, quella che vuole che la vera persona abbia una connessione molto intima con il lavoro che ha fatto o i ruoli interpretati, che insomma nelle biografie ci sia l’origine di tutto. Tuttavia lo script di Jeff Pope e la messa in scena di Jon S. Baird mettono così in evidenza queste gag, le rendono così impossibili nella vita vera eppure così lisce nella maniera in cui sono interpretate, da rivelarne l’artificiosità e farle passare da espediente puerile a piccoli momenti teneri.
Non a caso nella dolcezza con la quale Laurel e Hardy a tratti sembrano vivere come Stanlio e Ollio sta molta della grazia di questo film.

Ci vuole una grandissima spocchia per pensare di poter raccontare in questo modo Stanlio e Ollio, metterli in scena a fine carriera, forzare le loro vite e al tempo stesso rifarsi a fatti molto noti (la tournée europea fatta a fama scemata per poter racimolare credibilità per un nuovo film che non si sarebbe mai fatto) ma anche creare da zero dialoghi e interazioni. Questo film si inserisce nella vita dei due, ispirandosi a fatti privati (l’ossessione di Oliver Hardy per le donne) per trasformarli in personaggi di finzione, e lo fa con una quieta capacità di insinuarsi nei dettagli che compongono una relazione. Amici da una vita, sono uniti da un legame che non è realistico ma paradigmatico, i legami come funzionano nei film, simboli di tutto quello che possiamo o non possiamo ritrovare nella nostra vita.

Ovviamente Stanlio & Ollio è anche una celebrazione dei due, anche qui fatta nella maniera più complicata. Invece che farci vedere clip d’epoca, il film dà a Reilly e Coogan il compito ingrato di rimetterle in scena, certo in una versione decadente ma comunque colma di dignità. I due centrano alla perfezione il risultato, dimostrando (e forse qui sta il vero obiettivo del film) che più che nell’interpretazione la potenza di quelle idee stava tutta nella scrittura.
Non è infatti difficile capire come il film parteggi per il genio di Stan Laurel, per la sua voglia di essere indipendente, per la dignità da cineasta, per la tigna di non arrendersi e l’inventiva naturale, quasi domestica, apparentemente senza sforzi.

E se nel mettere a segno le gag il ruolo di Reilly e Coogan è proprio quello di dimostrare come non sia l’interpretazione ma la scrittura a dargli grandezza, nel resto del film splendono come titani capaci di raccontare l’asperità al fine di mettere in luce l’immensa dolcezza di un sentimento. Laurel e Hardy viaggiano in due oppure in 4 con le mogli ma l’impressione è sempre che siano solo loro due la vera coppia, che non ci sia nulla che possa dividerli, anche il più duro dei tradimenti.

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