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20.5.19

The Staggering Girl (id., 2019)
di Luca Guadagnino

I fashion film non sono propriamente il tipo di produzione audiovisiva più amabile, un passo più vicini al cinema rispetto alla pubblicità e uno più vicini al product placement rispetto ai mediometraggi. Pesantemente obbligati ad esibire stile, dotati di trame non più sofisticate di quelle da cortometraggio, raramente ispirati, più spesso commissionati.
Per questo motivo The Staggering Girl è forse il miglior fashion film visto negli ultimi anni, di certo il più interessante e complesso.

In 37 minuti compie un viaggio nelle memorie e nei desideri di una donna matura che torna a curarsi di una madre, artista anziana che non vuole aiuti nonostante la sua vecchiaia lo comanderebbe (ne fa le spese Kyle MacLachlan cameriere personale). Siamo nel mondo del quartiere Aventino di Roma, nei più alti strati economico-socio-culturali del paese. Tra New York e Roma, tra interni anni ‘70 e pareti rovinate dei palazzi del centro di Roma Julianne Moore ricorda, insegue e cerca di ricongiungersi alla madre.

A dirigere la fotografia c’è sempre Sayombhu Mukdeeprom, lo stesso di Chiamami Con Il Tuo Nome e Suspiria ma soprattutto di Lo Zio Boonme Che Ricorda Le Sue Vite Precedenti, film di fantasmi e ricordi come questo che però richiama soprattutto Dario Argento (come spesso accade nella produzione di Fasano-Guadagnino) e la sua ossessione per le presenze. Come se non ci potesse essere vera vita in una grande casa senza delle presenze ad abitarle.

Ovviamente The Staggering Girl parla la lingua degli abiti come qualsiasi fashion film, solo che in questo caso Guadagnino quella lingua la conosce, la parla anche nei suoi di film e non appare mai a disagio nel trovare un modo di inserire un abito (o più abiti) in una storia. Non c’è insomma nessuna forzatura nell’uso dell’alta sartoria della Maison Valentino per mettere in scena il momento in cui una figlia e una madre non riescono a parlarsi ma la prima ricorda la loro vita insieme. Questi 37 minuti anzi sembrano uno studio su come si possano usare i vestiti, una sperimentazione per altri film, un’esagerazione finalizzata a capire e provare cosa accada nei film di Guadagnino, nelle sue storie o ai suoi personaggi quando li si fa dialogare anche tramite gli abiti.

Questo non significa che The Staggering Girl abbia la messa in scena di uno spot Versace, anzi, è pienamente un film di Guadagnino, uno che innanzitutto si chiede in quali dettagli risiedano i sentimenti che cerchiamo, che ci sorprendono e che proviamo o ricordiamo. Quando Francesca Moretti (il personaggio di Julianne Moore) torna a casa e ha dei flash di se stessa da piccola con la madre da giovane e poi di colpo comincia ad abitare quei ricordi (cioè ad essere lei, adulta, dentro agli eventi passati), il fatto che la madre in quei ricordi sia più giovane di lei oggi diventa un dettaglio quasi commovente. Nessuno lo dirà, basterà una scena sotto le coperte come due amiche a metterlo in evidenza. Lì, in quei momenti tra abiti e corpi di giovinezza diversa slegata dall’età, c’è tutto il senso di un rapporto lungo una vita che si appiattisce in un momento unico, quando è prossimo alla fine.

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