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6.6.19

American Animals (id., 2019)
di Bart Layton

American Animals è praticamente l’opposto logico di I, Tonya. Se quel film a tratti fingeva di essere un documentario intervistando gli attori nei panni dei personaggi con uno strano effetto di confusione, questo di Bart Layton invece si colloca sul serio a metà tra finzione e documentazione. Come I, Tonya anche questa è una storia vera e come I, Tonya (e altri film sul genere) anche questa è raccontata enfatizzando l’assurda stupidità degli eventi. Sempre come in quel film anche questo è uno che riflette su quanto male possa andare la vita ma, a differenza di quello, compie anche un discorso sulla moda moderna delle storie vere.

Per guardare questa storia di universitari che si improvvisano ladri nella maniera più cialtrona, per il colpo più idiota (rubare un libro antico senza sapere come ricettarlo) finendo nella maniera peggiore, forse il punto di partenza più corretto è Pain And Gain, quello che fu il primo film a raccontare una storia vera mettendo in evidenza il caos imprevedibile e l’ironia potentissima che si nasconde nei fatti reali, soprattutto in quelli che “paiono un film”. Come nel film di Michael Bay infatti American Animals fa in modo che i protagonisti si percepiscano come dentro un film, pensino se stessi già come personaggi e non persone.

E proprio quest’errata sovrapposizione di se stessi con un immaginario cinematografico fatto di grandi rapine e criminali vincenti è quello che crea l’effetto comico. È il potere della finzione del cinema, quello di influenzare la realtà e far sì che possa essere trasformata (di nuovo) in finzione. O quasi. E American Animals lo capisce e ingloba.
Ma il film di Bart Layton è anche qualcosa di simile alla parodia dei film tratti da storie vere per come incorpora i veri protagonisti dei fatti e gli fa commentare tutto demitizzandoli. I luoghi in cui sono intervistati parlano di miseria, piccineria e dell’opposto esatto della grandezza del cinema. Margot Robbia truccata da Tonya Harding era epica anche invecchiata, anche in quell’orrida cucina dove veniva fintamente intervistata. Invece la vera Betty Jean Gooch (la libraia che custodiva il libro da rubare), intervistata anch’essa nella sua cucina, è di una marginalità inarrivabile. Proprio lo scontro con la realtà che in un film non può entrare.

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