Il prologo intriga, il primo episodio convince poco, il secondo ingrana e il terzo sancisce il definitivo decollo di Nevermind, film ad episodi (in totale 5, in continuo crescendo), diretto da Eros Puglielli come se non fosse passato un giorno dagli anni ‘90 quando tra film autoprodotti e una valanga di cortometraggi uno più assurdo (e riuscito) dell’altro, sembrava il futuro del cinema italiano. Non è andata così, il suo talento strano non è stato mai irregimentato davvero dal cinema (ucciso dalla distribuzione Occhi di cristallo, incompreso Tutta la conoscenza del mondo) ed ha preferito farsi ingabbiare dalla tv (ma per bene, con paghe adeguate e certezze di messa in onda, no come il cinema). Regista di fiction generaliste in anni in cui la tv di qualità non era un’opzione in Italia, Puglielli torna ora al cinema.
Abbiamo visto Copperman l’anno scorso, film che sarebbe davvero ingiusto imputare a lui, operazione paragonabile al lavoro televisivo (di buona fattura e discutibilissima scrittura), e ora esce Nevermind, che invece grida Puglielli da ogni inquadratura a occhio di pesce. Come ai vecchi tempi è una storia di stranezze, di assurdità stralunate che spesso tamponano la cattiva recitazione (non tutti, ma molti non reggono) e che ben si sposa con un casting di volti impeccabili che fa dimenticare il fatto che molti non siano adeguati come attori. Puglielli fatica, rattoppa, in certi momenti vola con idee geniali e alla fine confeziona un film che acchiappa tantissimo, rimane incollato, fa ridere e ha tantissimo da dire al di là dei suoi molti limiti.
L’idea di fondo è sempre che viviamo male in un mondo che non ci vuole bene, i protagonisti di Puglielli hanno sempre il caso contro, tutto gli precipita addosso in un delirio di dettagli perfetti per comunicare l’ansia della sconfitta (addirittura anche nel suo medio L’albero, usato come promozione per l’omonimo album di Jovanotti, succede che al cantante si cancelli tutto ciò che ha registrato il giorno prima dell’uscita dell’album). I fratelli Coen con meno ottimismo, Black Mirror senza tecnologia (l’episodio del cuoco è esattamente quello), Nevermind vive di atmosfere e momenti geniali, è un inferno di grafici verso il basso, foto della torre Eiffel là dove dovrebbe esserci quella di un bambino, gravidanze inspiegabili e via dicendo, più lo si vede più lo si apprezza.
Su tutto regna l’idea di Puglielli che esistere sia una lotta contro tutto e tutti da parte di persone che finiscono per essere le più squilibrate. I suoi protagonisti abitano con scomodità la propria vita e Puglielli fa stare scomodi noi a furia di inquadrature sghembe, lenti deformanti e elementi grotteschi di sfondo, i suoi personaggi hanno paura che qualcosa di terribile che sospettano (assieme a noi) dall’inizio si avveri e a lui interessa guardare da vicinissimo, minuto per minuto, cosa avviene quando si avvera.
Certo Nevermind non vive tutto della medesima qualità, ha apici altissimi (il racconto dell’anziana vicina) e momenti in cui si avverte una grande fatica produttiva, del resto è stato girato wellesianamente in quasi autonomia e un po’ alla volta, allestendo il set ogni volta che erano stati racimolati i soldi per farlo. Però quando mai si vedono film italiani così? Quando mai capita che in 2 ore ci sia una tale concentrazione di spunti, trovate, situazioni, intrecci e ribaltamenti? Quando mai capita qualcuno capace di giocare con il registro del grottesco spinto in questa maniera?
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