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24.9.19

Between Two Ferns: The Movie (id., 2019)
di Scott Aukerman

L’idea base di Between Two Ferns with Zach Galifianakis, la webserie di Funny Or Die, non è eccezionale. Consta tutto di domande comicamente provocatorie fatte in faccia a talent e star totalmente consenzienti. Vengono presi in giro per ruoli ridicoli, incassi bassi, carriere sceme o altro. Ma vengono presi in giro con il loro consenso, tramite script pre-approvati e una blanda improvvisazione, sono tutti amici di Galifianakis e vengono apposta per qualche screzio contro di loro. A sostenere il format e a renderlo divertente è proprio come Galifianakis ponga queste domande, in una parola il suo senso comico, la sua capacità di trasformare una blandissima critica in una battuta vera (“Pensi che film come La La Land possano spianare la strada a tutti quei bianchi che vogliono spiegare il jazz ai neri?” chiede a John Legend).

Da quella webserie è stato creato un film, diretto dallo stesso regista degli episodi online, di fatto espandendone la mitologia (che programma è? Da dove viene? Chi lo produce? Perché i talent ci vanno?) e allargando il campo dei personaggi anche ad assistenti di studio, cameramen ecc. ecc.
Between Two Ferns: The Movie è quindi una storia propriamente detta intorno alla registrazione di diverse puntate della webserie, in modo che possa così incorporare almeno una decina (ma anche di più) di interviste a talent noti (Benedict Cumberbatch, Brie Larson, Paul Rudd, Queen Latifah, David Letterman, Matthew McConaughey…). Il resto è girato nello stile di The Office o Parks And Recreation, una specie di documentario intorno ad un gruppo di lavoro scalcinato, che si concentra sulla tentata transizione da webserie a grande show televisivo con pubblico. Galifianakis ovviamente interpreta il suo consueto personaggio troppo-stupido-per-essere-vero.

È impossibile dire che il film non riservi qualche risata (specie nella prima parte con McConaughey) ed è indubbio che tutto si illumini ogni qualvolta compaia Will Ferrell, vero fondatore di Funny Or Die e qui in una versione parodistica di sé come un mogul extra esigente, cocainomane ed onnipotente. Ma il resto è così scarso e povero, così derivativo e pretestuoso che davvero dà l’impressione di essere quello che è: la trasposizione di qualcosa di breve, deformata e allungata il più possibile perché possa dirsi film senza aver fatto la fatica necessaria ad esserlo davvero.

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