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1.3.20

Undine (id., 2020)
di Christian Petzold

Undine vuole raccontare una storia d’amore e vuole farlo passando attraverso il mito delle Ondine (più o meno sirene della mitologia nordeuropea e germanica), concretizzandolo con una grande attenzione ai lavori dei due protagonisti. Lei, Undine, una storica urbanista che spiega ai turisti città e palazzi davanti ad un plastico, lui un palombaro. La storia inizia con la fine di un amore per Undine, una fine burrascosa e terribile da cui fatica a riprendersi, e poi prende il suo abbrivio con l’incontro e la nascita di uno nuovo. In mezzo le difficoltà, le malattie, la distanza, il lavoro e tantissima passione.

Non diversamente da molto pessimo cinema italiano, Undine vuole raccontare di un amore passionale e stordente facendolo riflettere nei lavori di lei e lui, quel mondo di presentabilità, professionalità, rischio in alcuni casi, e aplomb è messo in contrasto direttamente con la potenza della passione di una donna (e ad un certo punto un uomo) che stringe un legame che pare ancestrale con un’altra persona, un legame che pare precederli. Il lavoro è un’altra maniera di trattenere o esprimere diversamente i propri sentimenti. Visioni subacquee e panchine controllate nervosamente dalla finestra in una pausa sono tutte scappatoie, modi in cui i sentimenti trovano una maniera di manifestarsi.
Sarà solo il titolo a far pensare a loro due come reincarnazioni moderne di miti antichi, destinati ad unirsi e soffrire, con l’acqua di mezzo. In questo senso l’unica scena che appare sensata del film è quella in cui il loro amore è sancito dalla rottura di un acquario che li investe d’acqua.

Per il resto Petzold spesso utilizza ciò che i protagonisti fanno per raccontare i loro turbamenti senza essere sufficientemente sfacciato da aprirsi davvero al melodramma e senza essere davvero allegorico per farne qualcosa, finendo troppo spesso in una terra di mezzo involontariamente comica, quel luogo del cinema in cui il film pensa di maneggiare materiale davvero significativo e invece il pubblico vede solo il tentativo velleitario.
Non mancherà nel finale una spruzzata di fantastico nella realtà, a ribadire l’origine e l’impronta mitica di questo amore ma senza (di nuovo) dare una profondità diversa alla storia, solo aggiungendo un ulteriore strato insipido ad una torta che continua a non sapere di niente.

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