C'è tutta una corrente particolare del cinema indipendente americano che fa sì che questo si somigli tutto eccessivamente. Il ritratto di un'America di provincia, stanca, arrabbiata, sola e disillusa, l'America dei perdenti e degli sconfitti, di quelli che non riescono a fare nulla della propria vita. Una precisa tipologia filmica (idntificabile anche nella forma) che ha voluto l'ultimo esempio in Bubble di Soderbergh.
Buffalo '66 rientra assolutamente a pieno in questa categoria (con una palese ispirazione a John Cassavetes) ma ne è senz'altro uno degli esempi migliori. Benchè Vincent Gallo non sia un regista abile è innegabile che abbia una visione precisa di cinema e di mondo, il film è pieno di decisioni prese con coerenza e coscienza di sè e di quello che si sta facendo, e non è frequente.
In più Buffalo '66 ha il pregio di essere scritto molto bene e con molta sincerità di essere in bilico tra il disperatamente tragico e il terribilmente grottesco, un dramma autentico con autentiche venature comiche.
Dagli attori, alla scenografia, ai temi è tutto molto azzeccato: il ritratto delle due solitudini che si incontrano (un tema abbastanza tipico) e che vengono pedinate per una giornata nella disperazione del loro tentare di sperare in una vita migliore. Le sequenze in casa dei genitori sono meravigliosamente sincere e autentiche.
Non c'è autocompiacimento nè freddo calcolo in nessun momento, gli eventi scorrono come nella realtà grotteschi, ridicoli e per questo terribilmente tragici.
Ciò che infastidisce un po' è la costante ricerca di Vincent Gallo di un'originalità nella messa in scena a tutti i costi. Montaggio sconnesso, obiettivi particolari, sovraesposizione, angolature di ripresa inusuali... Una ricerca condotta senza molto criterio e senza controllo, così se alcune scelte sono senza dubbio vincenti (il dialogo con i genitori a tavola) altre sono ridicole (la sequenza dell'omicidio).
2 commenti:
Un film imperfetto, impudico, smisuratamente ambizioso e coraggioso. Vincent Gallo rappresenta molto bene ciò che amo nel cinema indipendente americano e (mi voglio lanciare) nell'America in generale: l'arroganza di pensare di aver qualcosa di originale da dire e da fare, il mettersi in gioco tutti interi, il candore ingenuo di uno sguardo triste.
Una volta tanto sono assolutamente daccordo.
Si percepisce l'arroganza delle idee (e del personaggio) e la pretese di mostrare qualcosa di interessante, eppure lo è e non solo, riesce anche a toccare.
Posta un commento