Otar Ioselliani è un cineasta spesso non facile, spesso intellettuale e quasi sempre molto ironico con il suo mestiere con i suoi attori con il suo ruolo e con il suo pubblico.
In Un Incendio Visto Da Lontano il tema è l'invadenza della modernità e la contaminazione con una dimensione di vita più aderente alla natura. Il film si sviluppa seguendo la vita di una tribù africana che vive nella savana, in un regime di totale matriarcato dove sono le donne a fare tutto e dove la magia è all'ordine del giorno. Tuttavia le peripezie amorose di due novelli sposini porteranno la tribù a contatto con la vita moderna che li contaminerà fino a farli ricredere anche sulle proprie divinità.
Definire austero lo stile di Ioselliani è dire poco, un cineasta fiero e indipendente che si permette il lusso di girare un film in una lingua sconosciuta a chiunque (potrebbe anche ssere inventata) senza sottotitoli ma solo con qualche cartello ogni tanto. Le riprese sono tutte nel più tipiche stile documentarista, con profondità di campo e visione distacca, movimenti impercettibili e minimalismo della messa in scena. Lontano da qualsiasi forma di intrattenimento (nonostante le molte componenti grottesche del film) questa pellicola non riesce neanche nella riflessione che non va oltre la similitudine tra la vita di questa tribù così simile alla vita degli animali (dove le donne cacciano). La polemica sulla modernità invasiva è poi condotta con il minimo dell'impegno.
In Un Incendio Visto Da Lontano il tema è l'invadenza della modernità e la contaminazione con una dimensione di vita più aderente alla natura. Il film si sviluppa seguendo la vita di una tribù africana che vive nella savana, in un regime di totale matriarcato dove sono le donne a fare tutto e dove la magia è all'ordine del giorno. Tuttavia le peripezie amorose di due novelli sposini porteranno la tribù a contatto con la vita moderna che li contaminerà fino a farli ricredere anche sulle proprie divinità.
Definire austero lo stile di Ioselliani è dire poco, un cineasta fiero e indipendente che si permette il lusso di girare un film in una lingua sconosciuta a chiunque (potrebbe anche ssere inventata) senza sottotitoli ma solo con qualche cartello ogni tanto. Le riprese sono tutte nel più tipiche stile documentarista, con profondità di campo e visione distacca, movimenti impercettibili e minimalismo della messa in scena. Lontano da qualsiasi forma di intrattenimento (nonostante le molte componenti grottesche del film) questa pellicola non riesce neanche nella riflessione che non va oltre la similitudine tra la vita di questa tribù così simile alla vita degli animali (dove le donne cacciano). La polemica sulla modernità invasiva è poi condotta con il minimo dell'impegno.
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