Devo assolutamente rivedere il mio giudizio su Tsukamoto. Continuo a dire di non amarlo se non per qualche eccezione, eppure ogni volta che ho l'occasione di vedere qualcosa di suo che non conosco sono lì curiosissimo e quando i film finiscono sono contrastato tra l'ammirazione e la condanna, il rispetto e l'odio per quella forma di cinema infastidente, invadente e arrogante.
Eppure anche Bullet Ballet vince. Certo lo fa dopo una lotta titanica, dopo avermi esaltato e deluso mille volte, dopo aver appassionato ed annoiato in mille modi. Eppure è proprio questo il modo di narrare (o di non-narrare) di Tsukamoto. Mai il primato dell'immagine è stato così forte come in lui. I suoi film comunicano più nei silenzi che nei rari dialoghi, più con i suoni assordanti e i rumori stridenti dell'acciaio (quasi sempre presente).
In questo caso Shinya torna al bianco nero come in Tetsuo, ma ora ci sono più soldi e può permettersi uno sgranato ad arte, telecamera come sempre mobilissima, frenetica, agitata quasi e una metropoli inquadra da vicinissimo. Tutte sezioni: una parte di strada, una parte di vicolo, qualche tubo, il fumo, la pioggia, le passerelle....
Al centro c'è (un po' come nel precedente Tokyo Fist) l'uomo minuto al centro della città preda delle ansie e delle aspettative che sente provenire dagli altri, insoddisfatto e umiliato. Ma è tutto frenetico e agitato. Qui addirittura c'è una trama costruita e (incredibile a dirsi) delle strategie narrative: personaggi (che non siano il protagonista) con una psicologia chiara e delle gestualità caratteristiche, un obiettivo per il personaggio principale e un intreccio.
Ma la sostanza non cambia. Il punto focale anche questa volta non è narrare ma mostrare un uomo preda della città. Se Tetsuo usava come metafora la mutazione della carne con l'acciaio, Tokyo Fist la martoriazione fisica del corpo con la violenza dei pugni e A Snake Of June l'umiliazione voyeuristica, Bullet Ballet è sulla mutilazione da arma da fuoco. Ancora l'acciaio nella carne.
I suoni degli spari sono assordanti e ritmici, gli inseguimenti calustrofobici e il turbine di follia che avvinghia il protagonista dopo la morte della donna amata è una vera spirale di perdizione tanto rapida quanto scontata nel mondo di Tsukamoto.
Anche Bullet Ballet è odiosamente imperdibile.
Eppure anche Bullet Ballet vince. Certo lo fa dopo una lotta titanica, dopo avermi esaltato e deluso mille volte, dopo aver appassionato ed annoiato in mille modi. Eppure è proprio questo il modo di narrare (o di non-narrare) di Tsukamoto. Mai il primato dell'immagine è stato così forte come in lui. I suoi film comunicano più nei silenzi che nei rari dialoghi, più con i suoni assordanti e i rumori stridenti dell'acciaio (quasi sempre presente).
In questo caso Shinya torna al bianco nero come in Tetsuo, ma ora ci sono più soldi e può permettersi uno sgranato ad arte, telecamera come sempre mobilissima, frenetica, agitata quasi e una metropoli inquadra da vicinissimo. Tutte sezioni: una parte di strada, una parte di vicolo, qualche tubo, il fumo, la pioggia, le passerelle....
Al centro c'è (un po' come nel precedente Tokyo Fist) l'uomo minuto al centro della città preda delle ansie e delle aspettative che sente provenire dagli altri, insoddisfatto e umiliato. Ma è tutto frenetico e agitato. Qui addirittura c'è una trama costruita e (incredibile a dirsi) delle strategie narrative: personaggi (che non siano il protagonista) con una psicologia chiara e delle gestualità caratteristiche, un obiettivo per il personaggio principale e un intreccio.
Ma la sostanza non cambia. Il punto focale anche questa volta non è narrare ma mostrare un uomo preda della città. Se Tetsuo usava come metafora la mutazione della carne con l'acciaio, Tokyo Fist la martoriazione fisica del corpo con la violenza dei pugni e A Snake Of June l'umiliazione voyeuristica, Bullet Ballet è sulla mutilazione da arma da fuoco. Ancora l'acciaio nella carne.
I suoni degli spari sono assordanti e ritmici, gli inseguimenti calustrofobici e il turbine di follia che avvinghia il protagonista dopo la morte della donna amata è una vera spirale di perdizione tanto rapida quanto scontata nel mondo di Tsukamoto.
Anche Bullet Ballet è odiosamente imperdibile.
5 commenti:
Non hai trovato riferimenti a scorsese e a la haine?
Scorsese devo dire no. Riguardo la Haine mi ero messo a pensare a quando il bianco e nero sia diventato simbolo di metropolitanità.
Cioè prima era simbolo di un cinema retrò. Il bianco e nero usato nell'epoca del colore stabilito e diffuso viene solitamente usato per dare un'idea di cinema d'altri tempi, tipo L'Uomo Che Non C'Era. Poi però c'è anche tutto un lato di metropolitanità, dura e grezza legata al bianco e nero (magari sgranato) che non so quando è nata, forse proprio con La Haine, anche se poi penso che prima di La Haine c'è comunuque Tetsuo.
Io ci vedo tanto Scorsese...
Ma tipo dove?
Nella visione della malavita metropolitana?
me lo ricordo non benissimo, comunque nelle scene di alienazione di lui da solo, tipo qui hai postato una foto di lui con una pistola che guarda la telecamera, a me ricorda troppo i personaggi di scorsese ma anche la haine...
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