Girato tutto in lunghi piani sequenza e basato interamente sulla storia di un reporter che per una casualità della vita si trova ad avere l'occasione di cambiare identità (inscenando la sua morte e assumendo l'identità del vero morto) e quindi vita, Professione: Reporter è lunga divagazione sul tema dell'alterità e dell'impossibilità di conoscere il reale.
Dopo la trilogia sull'incomunicabilità arriva quella americana (questo film assieme a Blow Up e Zabriskie Point) dove il cinema si fonde alle istanze di fine anni '60 di liberazione dalla realtà, superamento della materialità e quindi corrispettiva impossibilità di scandagliare di capire ciò che ci circonda.
Il reporter che cambia identità e si ritrova ad un certo punto a sua insaputa ad essere un mercante d'armi, è una figura ancora una volta metaforica, ancora una volta simbolo, ancora una volta emblema.
Il già per me molto fastidioso cinema di Antonioni fatto di silenzi, lungaggini e "grande profondità d'intenti" si arricchisce di un ennesimo capitolo, senza che nulla di diverso possa arrivare. Tutto è ancora affidato alle allegorie e ai rimandi simbolici. Come nel lungo piano sequenza finale.
La forma del film stesso nega la conoscibilità, sono presenti molti trucchi che spiazzano lo spettatore, si passa molto spesso in una medesima inquadratura (senza stacchi) da un piano temporale all'altro (Nicholson è inquadrato, la macchina da presa si sposta portandolo fuoriscena, voce fuoricampo che racconta e di nuovo Nicholson entra nell'inquadratura ma con altri vestiti perchè si sta mostrando un evento avvenuto in un tempo diverso).
Insomma forma e contenuto contribuiscono a portare i simboli del film verso un medesimo punto l'incomprensibilità. Ma dove ci aspetterebbe empatia c'è solo simbologia, dove si vorrebbe compartecipazione c'è didascalismo. Il cinema di Antonioni impone un punto di vista dimostra e non mostra, è per questo mi risulta indigesto.
Dopo la trilogia sull'incomunicabilità arriva quella americana (questo film assieme a Blow Up e Zabriskie Point) dove il cinema si fonde alle istanze di fine anni '60 di liberazione dalla realtà, superamento della materialità e quindi corrispettiva impossibilità di scandagliare di capire ciò che ci circonda.
Il reporter che cambia identità e si ritrova ad un certo punto a sua insaputa ad essere un mercante d'armi, è una figura ancora una volta metaforica, ancora una volta simbolo, ancora una volta emblema.
Il già per me molto fastidioso cinema di Antonioni fatto di silenzi, lungaggini e "grande profondità d'intenti" si arricchisce di un ennesimo capitolo, senza che nulla di diverso possa arrivare. Tutto è ancora affidato alle allegorie e ai rimandi simbolici. Come nel lungo piano sequenza finale.
La forma del film stesso nega la conoscibilità, sono presenti molti trucchi che spiazzano lo spettatore, si passa molto spesso in una medesima inquadratura (senza stacchi) da un piano temporale all'altro (Nicholson è inquadrato, la macchina da presa si sposta portandolo fuoriscena, voce fuoricampo che racconta e di nuovo Nicholson entra nell'inquadratura ma con altri vestiti perchè si sta mostrando un evento avvenuto in un tempo diverso).
Insomma forma e contenuto contribuiscono a portare i simboli del film verso un medesimo punto l'incomprensibilità. Ma dove ci aspetterebbe empatia c'è solo simbologia, dove si vorrebbe compartecipazione c'è didascalismo. Il cinema di Antonioni impone un punto di vista dimostra e non mostra, è per questo mi risulta indigesto.
13 commenti:
la considerazione finale è molto interessante anche se non la condivido. meriterebbe un dibattito a più voci.
"Il cinema di Antonioni impone un punto di vista dimostra e non mostra"
Penso invece che il cinema di Antonio abbia sempre utilizzato l'inquadratura come elemento dotato d'un proprio statuto autonomo, capace di restituire la realtà in maniera quasi documentaristica o comunque documentale.
Il suo cinema mostra all'interno d'una verbalizzazione dell'immagine mai esplicitata. Il senso ci appare come imposto ma in realtà è sfuggente, aperto, incerto.
...parliamone
Se penso a Blow Up a Zabriskie Point (specialmente il famoso finale) a L'Eclissi e Deserto Rosso, penso ad un punto di vistra dimostrato e messo in piazza.
Mi sono sempre sembrati film a tesi, non che parlino (per dire) di incomunicabilità in senso lato ma che la dimostrino. Come fa un certo cinema di Allen (per dire uno che ammiro) quando parla di impossibilità di vita di coppia. Eppure in Allen c'è una sospensione maggiore, quasi un senso di incertezza sulle sue tesi.
Mentre in Antonioni questo non lo vedo, vedo un'arringa a favore delle sue tesi. Cosa che non mi piace mai.
Io amo i film americani di Antonioni in maniera particolare e magari eccessiva, ma anche il mio vecchio buon prof ti darebbe dell'eretico, o magari morirebbe giusto per il gusto di rivoltarsi nella tomba!?
Non è detto che non abbia buonissime ragioni...
Per carità! Però io ho proprio un'altra idea di cinema, sono un truffautiano di ferro e il cinema di Antonioni non lo condivido proprio.
Pur ammettendo (e non difficile farlo) che ci sono molte cose belle nei suoi film. Sono rimasto folgorato dalla natura di L'Avventura, ma rimane che non mi piace il suo modo di mettere in scena, non ci sto a quei lunghi silenzi, a quell'adesione forzata ad un punto di vista. Non ho mai sopportato il didascalismo.
Il bello è che io sono pure truffautiano...
A prescindere da tutto ciò sono molto curioso di sapere cosa pensi del cinema di Tarkovskij, non ricordo di avertene sentito commentare.
Cmq Antonioni 'didascalico' è francamente eccessivo! Faccio un po' di fatica non a passartelo ma a perdonartelo!?!? Eheh
Di Trakovskij ho visto i grandi classici prima di parire il blog percui non ne ho parlato. Non sono un fan sfegatato ma chiaramente li apprezzo.
Faccio fatica invece a pensare a qualcuno più didascalico di Antonioni. I suoi sono i film più "a tesi" che abbia mai visto.
proprio "ora scelgo un argomento e faccio di tutto per dimostrarti che è come dico io".
Lei piange il suo amato?, il suo non ancora amato, il suo possibile amato?, solo quando le lacrime le piovono addosso, il mondo, quest'estraneo, la piange...
Se è così didascalico non sarà così difficile raccontare il senso di zabriskie point, una formula che in nuce lo contenga...
Didascalismo non fa necessariamente coppia con linearità della trama.
Non è facile raccontare di cosa parli Zabriskie Point ma è molto facile spiegare quali siano gli intenti di Antonioni.
Mmmh, a questo punto non capisco se valuti l'opera o l'operaio...
Cmq a parte il personalismo anche di altri grandi cineasti si colgono gli intenti in maniera trasparente eppure non si dovrebbe, a mio parerere, ridurre il valore delle loro pellicole a questi ultimi.
Ad esempio il Pasolini del Fiore delle mille e una notte... l'intento è semplice, chiaro e costante (alcuni critici l'hanno definita con linguaggio freudiano l'esaltazione del principio di piacere contro l'imperante principio di realtà), ma il film resta una bella avventura!
Antonioni segue e persegue un'idea di cinema probabilmente molto chiara, ma i suoi film non ne risentono, in qualche maniera se ne emancipano, sono semmai le seconde letture, a farla venir fuori.
Capisco che tu non condivida quest'ultimo passaggio, dato che il film ti appare come un mero dispiegamento dello 'sguardo' di Antonioni sul cinema, ma - è chiaro - non sono d'accordo.
Sicuramente giudico molto l'operaio più che l'opera, anche perchè (e questo lo ritengo un merito) il cinema di Antonioni è sicuramente tra i più personali che ci siano e dunque mi sembra importante fare sempre un discorso sull'autore. Specialmente per quanto mi riguarda perchè comunque non amo il suo stile (per i motivi elencati). Poi è chiaro che ogni film fa testo a sè, non sono contro ogni film di Antonioni, prova ne è che pur non amandolo continuo a vedere suoi film (li ho visti quasi tutti ormai) e soprattutto prova ne è che non mi è dispiaciuto troppo l'Avventura che ho trovato finalmente più empatico (specialmente nella prima parte).
Per il resto non amo nemmeno il Pasolini ultimo, preferisco molto di più il primo, quello di Accattone e Mamma Roma. E proprio perchè mi sembra meno didascalico e più concreto, in grado di comunicare sì quello che vuole ma senza imporre punti di vista o tesi.
Mamma mia, passo per caso in questo blog e mi vedo stroncare due degli autori di cinema che più preferisco: Antonioni e Godard; i pochi che abbiano fatto davvero arte con (o attraverso) il cinema.
Poi, va bene tutto (anche no), ma reputare didascalico e/o "a tesi" Antonioni significa davvero aver visto il film superficialmente o,meglio, da un punto di vista "errato".
Bene! Ho scritto il mio più profondo dissenso, ma non ho la minima intenzione di iniziare una discussione cercando di spiegare perché debbano piacere i film di Antonioni e perché li consideri grandi o che so io; la cosa non mi riguarda, né mi interessa.
figurati a me!
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