Ok, ok. Non ho visto Saimir. Lo devo vedere lo so e non pensate che non provi senso di colpa per non averlo fatto. Ma traendo il meglio dalla situazione si può dire che abbia visto Il Resto Della Notte senza particolari aspettative. E mi è piaciuto.
Munzi ha un modo molto internazionale di concepire il cinema ma senza necessariamente snaturare l'approccio italiano e senza guardare troppo a qualcun altro in particolare. Il suo racconto di ordinaria immigrazione e famiglie allo sbando nel nord Italia è molto leggero (nonostante i frequenti drammi messi in scena), rifugge come la peste ogni melodrammatismo (vedasi la bellissima scena degli spari nella notte che poteva essere 10, 100 o 1.000 volte più enfatica) e cerca di andare direttamente al dissidio interiore di ogni personaggio, disinteressandosi palesemente di ogni altra cosa.
C'è una famiglia italiana benestante tempestata dalla consueta crisi di comunicatività, una famiglia italiana sbandata e una coppia di immigrati (romeni?) che ricomincia una storia sofferta e deve convivere nel classico tugurio con il fratello di lui che vede tutto di cattivo occhio. Le storie partono legate l'una all'altra, si separano quasi subito procedendo indipendentemente e si riuniscono nel grande evento catartico finale. Una struttura articolata benissimo che in più di un momento regala attimi davvero davvero davvero valevoli (l'incontro tra i due immigrati che ebbero una storia (foto al centro)).
Munzi riprende con il massimo dell'invisibilità e interviene sull'immagine solo desaturando i colori e virando un po' verso il blu nella ricerca dello squallore più totale dei paesaggi degradati della periferia piemontese (probabilmente proprio di Torino).
Fa insomma un lavoro delicato sulle immagini come con delicatezza approccia i personaggi (anche se non tutti con la stessa profondità), rifuggendo buonismi e politically correct (gli extracomunitari NON sono certo i buoni della situazione) per raccontare non di immigrati e italiani ma di esseri umani.
E' un film dove chi attacca gli immigrati troverà conferma alle proprie idee (ridicole a tal riguardo le critiche ideologiche che stigmatizzano un eventuale messaggio xenofobo, ma ancora esiste chi pensa che un film debba mandare messaggi politici??) e anche chi non li attacca perchè mostra le cose davvero senza prendere parti e senza risparmiare bastonate a tutti.
Dunque benchè il film non faccia gridare al capolavoro rimane comunque un esempio di ottimo cinema, specialmente per le scelte che fa, per la visione di cinema che esprime. Per come insomma riesca a inquadrare benissimo il modo in cui parlare di certi temi e come evitare di scadere sia nella banalità, che nella retorica, che nel superficiale.
L'immigrato sembra Kusturica, l'italiano drogato sembra Vincent Gallo (foto a destra) e il padre borghese Steve Jobs senza barba. Ecco l'ho detto.
Munzi ha un modo molto internazionale di concepire il cinema ma senza necessariamente snaturare l'approccio italiano e senza guardare troppo a qualcun altro in particolare. Il suo racconto di ordinaria immigrazione e famiglie allo sbando nel nord Italia è molto leggero (nonostante i frequenti drammi messi in scena), rifugge come la peste ogni melodrammatismo (vedasi la bellissima scena degli spari nella notte che poteva essere 10, 100 o 1.000 volte più enfatica) e cerca di andare direttamente al dissidio interiore di ogni personaggio, disinteressandosi palesemente di ogni altra cosa.
C'è una famiglia italiana benestante tempestata dalla consueta crisi di comunicatività, una famiglia italiana sbandata e una coppia di immigrati (romeni?) che ricomincia una storia sofferta e deve convivere nel classico tugurio con il fratello di lui che vede tutto di cattivo occhio. Le storie partono legate l'una all'altra, si separano quasi subito procedendo indipendentemente e si riuniscono nel grande evento catartico finale. Una struttura articolata benissimo che in più di un momento regala attimi davvero davvero davvero valevoli (l'incontro tra i due immigrati che ebbero una storia (foto al centro)).
Munzi riprende con il massimo dell'invisibilità e interviene sull'immagine solo desaturando i colori e virando un po' verso il blu nella ricerca dello squallore più totale dei paesaggi degradati della periferia piemontese (probabilmente proprio di Torino).
Fa insomma un lavoro delicato sulle immagini come con delicatezza approccia i personaggi (anche se non tutti con la stessa profondità), rifuggendo buonismi e politically correct (gli extracomunitari NON sono certo i buoni della situazione) per raccontare non di immigrati e italiani ma di esseri umani.
E' un film dove chi attacca gli immigrati troverà conferma alle proprie idee (ridicole a tal riguardo le critiche ideologiche che stigmatizzano un eventuale messaggio xenofobo, ma ancora esiste chi pensa che un film debba mandare messaggi politici??) e anche chi non li attacca perchè mostra le cose davvero senza prendere parti e senza risparmiare bastonate a tutti.
Dunque benchè il film non faccia gridare al capolavoro rimane comunque un esempio di ottimo cinema, specialmente per le scelte che fa, per la visione di cinema che esprime. Per come insomma riesca a inquadrare benissimo il modo in cui parlare di certi temi e come evitare di scadere sia nella banalità, che nella retorica, che nel superficiale.
L'immigrato sembra Kusturica, l'italiano drogato sembra Vincent Gallo (foto a destra) e il padre borghese Steve Jobs senza barba. Ecco l'ho detto.
1 commento:
Francesco Munzi colpisce per la capacità di puntare il suo sguardo sulla nostra società, ormai sempre più multiculturale, concentrandosi laddove le contraddizioni si fanno più forti e pericolose, ovvero il Nordest del nostro paese. Un film non retorico, asciutto, che fa riflettere sfuggendo alla facile trappola del film a tesi. Davvero intenso. http://www.nbmodena.org/2008/06/13/il-film-del-weekend-il-resto-della-notte/
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